“Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. La poesia “Non chiederci la parola”, nell’immortale “Ossi di seppia”, fu scritta da Eugenio Montale nel 1923. E, di certo, nelle sue venature esistenziali, non si riferiva al Partito democratico, nato in malo modo nel 2007, senza un’adeguata elaborazione culturale. Tuttavia, con tutti i suoi limiti, il Pd è riuscito ad arrivare a questo tormentato 2024 e non sarebbe il caso, a livello nazionale intanto, che nascesse davvero come partito e come progetto?
La necessità c’è e manca nello scenario europeo una forza di Sinistra capace di puntare davvero a cambiare le regole del gioco in termini di giustizia sociale, di attenzione agli ultimi e ai precari. In attesa del congresso, la leadership di Elly Schlein è ancora debole e manca quel salto di qualità sul piano dei contenuti e dello stile per proporre davvero un’alternativa al centrodestra. Oltre al salario minimo e ai diritti civili, i temi non mancherebbero: patrimoniale, lavoro, sanità e scuole pubbliche, pace e diplomazia, Stato sociale da rivitalizzare, contrasto alle povertà e forme di sostegno al reddito. Tutte necessità in una fase in cui il centrodestra dimostra di non avere un progetto economico e sociale per il sud.
Questo significherebbe rompere con le aree più moderate all’interno del partito? Bisogna correre dei rischi. In questi casi si obietta: l’Italia, e la vittoria di Meloni lo conferma, non è un Paese di Sinistra. Tuttavia, ci sono milioni di elettori che il Pd potrebbe recuperare solo se avesse un’identità chiara e adeguata ai tempi. Poi altra cosa sono le alleanze.
Non entriamo nel merito della querelle De Luca no/ De Luca sì, legata alle caratteristiche singolari del leader di Sud chiama Nord. In questo momento è il problema minore. Ma a livello nazionale un patto politico con formazioni moderate, oltre che con i Cinquestelle, è nella logica della politica. Tuttavia, una cosa è tessere le reti e formare le alleanze nella situazione attuale, segnata da una “non identità” che rende il partito informe. Altra cosa sarebbe gestire le alleanze appoggiandosi a un’identità solida. Identità da innovare, sapendo interpretare l’oggi in funzione del futuro.
In questo contesto, la debolezza del Pd messinese è ancora più evidente. Un partito ostaggio di tatticismi e senza alcun radicamento nel territorio. Non basteranno un congresso e nuovi leader. Serviranno anni di ricostruzione, dialogo con le persone, spazi concreti in ogni angolo della città e della provincia. Fino a quando le periferie saranno raggiunte solo grazie a Google Maps, in attesa dell’aperitivo, il Pd messinese non andrà da nessuna parte.
Questione meridionale, precariato, crisi sociale strutturale in assenza di politiche per l’occupazione e per la casa: sono alcuni temi da studiare e tradurre in politiche concrete. In particolare, il Partito democratico, se vuole rinascere, deve “adottare” Messina come realtà da ricostruire. La strada non è facile ma è obbligata, a Roma come nella città dello Stretto. Nella fase attuale, invece, il Pd non è né carne né pesce, senza un progetto chiaro di cambiamento. Ma se non ora, quando? Quando saranno scappati tutti gli elettori e i notabili si saranno spartiti il poco che rimane? Chi s’accontenta non gode e non cambia la società.