Coronavirus

M., 17 anni: Io non sono la mia malattia. Sono un sole che splende, un fiore che sboccia

Sono andata a letto, la sera del venerdì che camminavo. Quando mi sono svegliata, sabato mattina, le mie gambe non si muovevano più. Avevo perso la sensibilità. Solo quando ho toccato il fondo ho scoperto di avere una grande forza e coraggio. Stava nascendo in me una guerriera”. M., 17 anni, è una guerriera che non smette mai di parlare, un fiume in piena ed un sorriso che illumina il viso, gli occhi grandi, sgranati su un mondo che non dovrebbe riservare amarezze ai nostri figli e invece lo fa.

Le storie

Sin da piccola ha iniziato a stare poco bene, ma già da allora in lei c’erano i semi che oggi la portano a essere un esempio per quanti, adolescenti come M. si trovano a dover trascorrere i giorni nel reparto di Neuropsichiatria infantile del Policlinico di Messina. Tempostretto, in questi tristi giorni di pandemia, vi sta raccontando le storie dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze, feriti in modo indiretto da un virus che li ha lasciati sempre più soli davanti ad uno smartphone, un pc, chiusi in una stanza senza abbracci.

La bellezza della vita

Tre ricoveri per M., mesi in ospedale, tra terapie e sogni, ma proprio varcando quella soglia si è scoperta grande, ha capito che era una combattente. “La mia frase oggi è: un sole che splende, un fiore che sboccia. La voglio dipingere nelle pareti del reparto così che chiunque entri la veda e trovi forza e coraggio in questo sole che illumina sempre la nostra vita anche nei momenti più bui. Il fiore che sboccia è la vita che vince su tutto. Sbocciamo sempre. E’ una frase che sto anche ricamando. Nei mesi in cui sono stata qui ho iniziato a dare aiuto anche agli altri. Più davo, più mi sentivo meglio. E più stavo meglio più volevo dare. Dopo 3 ricoveri ho capito che dovevo dare una mano agli altri e spiegare che solo quando comprendi la bellezza della vita ne esci più forte”.

Il ricovero della guerriera

M. ha un’artrite giovanile che ha provato a non darle tregua ma ha trovato un osso duro davanti a sé. M. e la “squadra” di chi sta al suo fianco, iniziando dalla straordinaria famiglia. Se a 17 anni ti svegli e le gambe non si muovono pensi che la tua vita sia finita e il futuro sia spento. Invece M. ha usato la malattia come la più grande opportunità di crescita. E quando, a fine novembre 2020, ha varcato la soglia dell’ospedale in braccio alla madre, perché non riusciva a stare in piedi, è stato il “primo passo” verso la vita da guerriera.

“Voglio tornare a camminare”

Al dottore ho detto, con le lacrime agli occhi: la prego, io sono abituata a stare male, ma voglio continuare a camminare, le chiedo di farmi tornare come prima. Devo dire tanti grazie, perché questa è la mia seconda famiglia. Devo ringraziare tutti nel reparto di neuropsichiatria e di reumatologia”. Li elenca tutti, le dottoresse Gabriella Di Rosa e Maria Bonsignore (Neurpsichiatria infantile), Giovanni Conti e Roberto Chimenz (Reumatologia pediatrica), e quanti, in quei reparti, dagli infermieri agli operatori sanitari, hanno accompagnato le settimane di degenza.

Grazie a tutti

Devo ringraziare i miei genitori e la mia fantastica mamma. E poi…..”, poi le si illumina il viso perché il secondo lockdown, il ricovero al Policlinico, le hanno portato un’arma in più, ha incontrato una persona speciale che le ha dato forza e le ha fatto battere il cuore. “Sì, c’è stata anche una persona che mi ha aiutato tanto. Grazie a tutti loro ho compreso che non voglio perdere i colori della mia vita, il mio futuro, i miei progetti”.

I sogni, i progetti

M. ha sempre amato studiare, al liceo è molto brava, sogna di fare il medico, e quando finirà gli studi si iscriverà in Medicina, perché la strada maestra è quella. Medico generico, poi la specializzazione deve essere quella che la farà stare accanto alle persone per aiutarle. Il lockdown di marzo 2020 per lei è stato durissimo.

La Dad è stata traumatica

Avevo perso la mia quotidianità, alzarmi la mattina, andare a scuola, stare con gli amici. Io dal dicembre 2019 avevo iniziato una cura di punture per la mia malattia, quindi ogni giorno di scuola in più per me era importante. La Dad è stata traumatica per tutti. Poi mi mancavano proprio gli abbracci. Il secondo periodo di chiusure l’ho vissuto in ospedale, da novembre a gennaio e almeno lì, con il fatto che eravamo tutti tamponati qualche abbraccio ci scappava….”.

Il mondo mi aspetta

La sua frase mantra le è venuta fuori spontaneamente, un giorno, mentre stava per raggiungere un reparto con la sedia a rotelle le hanno chiesto: come stai e lei ha semplicemente risposto: come un sole che splende e un fiore che sboccia. “Quando stai male vedi tutto buio e pensi che il sole non tornerà più. Non è così. Quando ho toccato il fondo mi sono detta: il mondo mi aspetta, ho tante cose da fare. Non finisce così”.

Quel Natale speciale

In quelle stanze d’ospedale diventate la seconda famiglia M. ha trovato tutto, la sua maturità, la sua consapevolezza, e nella sera di Natale 2020 ha fatto parte di quello straordinario gruppo che si è riunito davanti al presepe del reparto ed ha celebrato l’inno alla vita. Ognuno, come abbiamo raccontato, ha espresso davanti al presepe una preghiera ed un sogno. Storie diverse, accomunate però dall’essere adolescenti, minori, feriti indirettamente dal covid, uniti dalla stessa voglia di reclamare il futuro.

Liberi di essere noi stessi

“Io sono stata quella che ha tolto la bambagia al Bambinello a mezzanotte. Ognuno di noi ha problemi diversi ma avevamo la stessa speranza che bussava al nostro cuore. E’ vero, era zona rossa, eravamo soli ma eravamo tutti uniti. Quando sono rientrata a casa ho detto ai miei che è stato il Natale più intenso della mia vita. Non contano i regali, le tavolate, i cenoni, conta l’amore. E’ stata una notte indimenticabile, è stato bellissimo parlarci. Siamo stati noi stessi. Oggi è difficile esserlo, perché noi ragazzi ci diciamo: se faccio questo sbaglio, se mi comporto così è un errore. Invece siamo stati liberi di essere semplicemente noi stessi”.

Io non sono la mia malattia

L’estate M. la trascorrerà con gli amici, pensando al futuro, agli studi, al cuore che può tornare a battere per amore. Ha qualche timore nell’affrontare il mare, timore che le gambe non siano del tutto salde, che possa accadere qualcosa, ma la permanenza in ospedale le ha insegnato che può farcela a sconfiggere le paure. “Ho imparato che io non sono la mia malattia. Sono ben altro, sono tantissimo. Qui ho avuto una crescita interiore molto importante, la malattia non voglio sia un ostacolo per me”.

“Scriverò un libro”

Approfitterà dell’estate per scrivere un libro che racconti la sua storia e sia da esempio a quanti, come lei, hanno una malattia auto immune o stiano affrontando un periodo in ospedale che sembra non finire mai. “Voglio che leggendolo capiscano il valore della vita. Dobbiamo apprezzare la bellezza che c’è nel mondo, in noi. Invece di dire: perché è successo a me, dobbiamo trovare la forza di vincere su tutto”.Il titolo, la guerriera di 17 anni che si è svegliata un mattino senza poter camminare, ce l’ha già: “Un sole che splende e un fiore che sboccia”. E lei è già sbocciata.