Certo che m'arrabbio

Messina è diventata un ring di lotta di fango, gara di rutti e a chi sputa più lontano

Potremmo parlare di un clima da lotta tribale, da gara a chi sputa più lontano, dal torneo peloritano del rutto. Oppure potremmo non scriverlo. Potremmo lasciare che una china sempre più pericolosa prosegua. Un po’ perché va di moda, è stato sdoganato di tutto in questi decenni, un po’ perché “ma si, in fondo chi me lo fa fare di essere presa di mira”, un po’ perché “ma sì, in fondo è solo apparenza, quel che conta è la sostanza”, un po’ per quieto vivere, un po’ per codardia, un po’ per pigrizia.

Drogati di social

Draghi non ha profili né su Facebook né su Instagram e non twitta, praticamente lavorerà h24 senza che hastag e like condizionino la sua vita. A Messina ci sono utenti talmente assuefatti ai social che se manca la dose di diretta quotidiana pensano che il tempo si sia fermato. Probabilmente il tempo non si è fermato, semmai siamo tornati indietro al Paleolitico. La lotta tra clan già era iniziata durante il mandato di Accorinti, e la guerra social, nata sul tema “può un sindaco non indossare giacca e cravatta e camminare scalzo?”, è poi divampata sull’isola pedonale e su qualsiasi decisione o non decisione venisse presa dall’amministrazione di allora.

Il dilemma sulla reiterazione….

Adesso sembra essere passato un secolo da quando il solo accenno dell’ex assessore Eller al lezzo di mafia coperto dai profumi di cipria fa persino tenerezza al cospetto di alcuni scontri social ai quali abbiamo assistito e dei quali abbiamo scritto. Accorinti che definisce indegni i consiglieri comunali sembra un dilettante, un partecipante della Corrida. Oggi il dibattito è tutto sul dilemma tra quale termine sia più offensivo o se la reiterazione di un’ingiuria ne vanifichi la portata o la amplifichi.

Lo sdoganamento di tutto

Lo ammetto, mi sento inadeguata a questo clima. Da cronista ho difficoltà a riportarli nero su bianco. Il problema in sé non è lo sdoganamento di un modo di fare politica lontano anni luce dal rispetto dell’altro come “avversario” o lo sdoganamento del linguaggio da bettola. Non è questo il problema. Non è un dilemma capire se definire asino piuttosto che c…. sia un insulto o un complimento, o se l’hai fatto in un momento di stizza o deliberatamente. Il dilemma non è che la stessa offesa se la dici a un uomo (o all’avversario di turno) va bene ma se la stessa parola la rivolgi ad una donna è attacco sessista. Il problema non è questo e non è, purtroppo, un problema di stile, di eleganza.

Strategia di distrazione?

Il problema è duplice. La lotta nel fango è diletto, arma politica o strategia di distrazione? Mentre voi giocate a chi alza l’asticella del turpiloquio cosa accade nel mondo reale? C’è poi il secondo problema ed è il più grave. Gli effetti collaterali. Citando Antonella Russo “se apri i recinti autorizzi a tutto”. Il problema è l’incitazione all’odio, all’insulto come unica forma, legittima, di contrapposizione.

Gli effetti collaterali

Le conseguenze, come sa chiunque sia stato vittima di questi attacchi, non è chi dà il “la”, il problema è chi fa il concerto, chi si sente autorizzato da quel momento in poi a fare carne da macello del bersaglio. Ho visto un video del fratello di una commerciante in lacrime per un brutto scherzo (il cartello col divieto d’ingresso agli asini volanti nel suo negozio). Una commerciante che ha visto il negozio chiuso per mesi (causa lockdown, zone rosse, fucsia, ultrarosse) e che l’ha dovuto richiudere a causa d’insulti social perché qualcuno le ha fatto uno scherzo che definire stupido è un eufemismo. Il problema è quel che accade dopo che Russel Crowe nel Gladiatore dice “al mio segnale scatenate l’inferno”. Sono le guerre sante contro il nemico, le crociate contro il povero cristo di turno. I confini del lecito diventano sempre più ampi e non sappiamo quante conseguenze, anche psicologiche questo crea. Non sappiamo se dalle parole violente c’è chi decide di passare ai fatti.

Tutti in un ring

E’ come se fossimo finiti tutti in un ring come bestie feroci, incitati a sbranarci tra di noi mentre la folla urla, come al Colosseo. Lo vogliamo davvero? Io sono certa che nessuno di noi lo vuole. Anche perché un conto è insultare nascosti da una tastiera (o da un nickname) una persona di qualsiasi lavoro, classe sociale, età, colore della pelle, opinione politica, religione, orientamento sessuale, un altro è farlo guardandolo/a negli occhi. Temo che se continuiamo così arriverà il giorno in cui anche incontrandoci per strada non vedremo più l’uomo e la donna che abbiamo di fronte ma solo uno schermo, una foto del profilo. Vedremo il bersaglio e colpiremo.

La spirale del silenzio

E se ci stiamo trascinando tutti in questo abisso è anche per quella che la professoressa Elisabeth Noelle-Neumann ha definito “la spirale del silenzio sin dagli anni ’70, periodo in cui Facebook non esisteva. In base a questa teoria, chi la pensa diversamente dagli altri non esprime la sua opinione: 1) vede che tutti la pensano diversamente e teme quindi che se i molti la pensano diversamente vuol dire che hanno ragione loro 2)teme che proprio perché diversa dai molti sarà emarginata e socialmente punita per la sua diversità. Essere minoranza fa paura. Così quella persona sta zitta. Ma più sta zitto chi teme di pensarla diversamente dalla massa più la spirale del silenzio si auto alimenta e la ragione dei tanti si trasforma in verità assoluta.

Messina muore

E’ per questa spirale del silenzio che stamattina mi sono chiesta se valeva la pena scrivere questo articolo o meno. Se ha davvero un senso mentre volano schizzi di ogni genere e da tutte le parti, provare a ricordare che ci sono altre modalità di confronto. E soprattutto la città sta morendo. Mentre noi viviamo in questa bolla credendo che il mondo inizi e finisca nella fattoria degli animali in cui ci siamo trasformati, fuori Messina muore. Vorrei poter vietare i commenti a questo articolo per evitare che le palle di fango rovinino la mia domenica. Ma in fondo non m’ importa. Quel che va detto va detto. E io non ci tengo a vincere la gara di rutti. Preferisco oggi leggere un bel libro, portare a passeggio il mio cane Gigi e guardare il cielo vero.