MESSINA – Sabato al Palacultura ha avuto luogo il concerto inaugurale dell’Accademia Filarmonica, che ha iniziato la stagione con un concerto sinfonico, evento ormai assai raro, per la difficoltà anche economica, che richiede portare una grande orchestra. Il presidente Marcello Minasi, nei saluti di rito insieme alla direttrice artistica Grazia Spuria, non ha mancato di ricordare quanto sta succedendo in Medio Oriente, auspicando negoziati di pace.
Il concerto ha visto protagonista l’Orchestra Sinfonica di Lecce e del Salento Oles, diretta da Piotr Jaworski ed è stato dedicato interamente a Ludwig Van Beethoven, quasi a risarcire il grande musicista da tutte le mancate celebrazioni del 2020, anno del 250° anniversario della sua nascita, annullate a causa della pandemia.
Del compositore tedesco sono stati eseguiti due immensi capolavori: il Concerto n. 4 per pianoforte e orchestra op. 58 in sol maggiore e La Sinfonia n. 3 op. 55 in mi bemolle maggiore, la celeberrima “Eroica”.
Il Concerto n. 4 ha è stato eseguito al pianoforte da un gradito ritorno, l’eccellente Benedetto Lupo, che anche questa volta non ha tradito le attese.
Nel Concerto n. 4 di Beethoven la critica dominante suole vedere la nascita del concerto moderno per pianoforte e orchestra. Già nel 1808, anno in cui fu eseguito per la prima volta il concerto a Vienna, la Gazzetta musicale universale di Lipsia lo definì “Tutto ciò che vi è di più strano, di più originale e di più difficile”. In effetti siamo di fronte ad un capolavoro che stravolge i soliti dettami caratteristici di questo tipo di concerto; infatti il pianoforte che inizia il primo movimento – “Allegro moderato” – da solo, con l’enunciazione di un bellissimo tema lirico, mentre all’orchestra è affidato il secondo tema più ritmico, inverte letteralmente i canoni tradizionali; ma soprattutto il dialogo fra lo strumento solista e l’orchestra, non più in contrapposizione ma in perfetta armonia, l’uso costante della variazione del tema, il ricorso frequente al trillo, tutte caratteristiche proprie dell’ultimo Beethoven, e da ultimo il carattere eminentemente lirico fanno di questa pagina uno dei vertici della musica romantica e non solo.
Stesso discorso vale per il secondo movimento “Andante con moto” molto breve ma intensissimo, con una splendida partitura pianistica intrisa di cromatismo, e il “Rondò – Vivace” conclusivo, una pagina brillante, sorprendentemente leggera, luminosa, diversa da tutti gli altri rondò del musicista tedesco. Con il quarto concerto Beethoven porta a compimento l’evoluzione del genere messa in atto da Mozart – il primo che fece dialogare piano e orchestra in un discorso unitario con i suoi straordinari ventuno concerti – e nello stesso tempo getta le basi del concerto moderno, al quale tutti i musicisti posteriori saranno debitori.
Magistrale interpretazione di Lupo, straordinario virtuoso del pianoforte, specialista di Schumann, che per l’occasione ha dovuto rinunciare ad esibire il suo virtuosismo, avendo il capolavoro di Beethoven una partitura per piano essenziale, priva sostanzialmente di “pezzi di bravura”, ma la difficoltà in questo caso consiste nell’interpretazione, e Lupo ha dimostrato una notevole sensibilità, un pianismo terso e cristallino, sempre attento ad ogni sfumatura. L’orchestra ha seguito diligentemente, ma senza particolari momenti di intensità, un’esecuzione a mio avviso corretta ma un po’ dimessa.
Il pianista ha concesso un bis, del suo Schumann, il primo brano da i “Kinderzenen”, eseguito magistralmente, con la delicatezza che il pezzo richiede
Dell’attesissima Eroica (da quanti anni non assistevamo ad una esecuzione dal vivo di una delle più celebri sinfonie in assoluto!) non si può scrivere nulla che non sia stato già scritto. Composta fra il 1802 e il 1804, inizialmente dedicata a Napoleone, che lottava contro le monarchie, Beethoven stracciò tale dedica una volta che Napoleone si incoronò re, ed ironicamente la dedica fu diventò. “Sinfonia eroica, composta per festeggiare il sovvenire di un grand’Uomo”.
L’Eroica rappresenta una svolta nella musica sinfonica, si distacca da tutte le sinfonie precedenti, anche di Beethoven stesso, un capolavoro imponente (la più lunga delle sue sinfonie a parte la Nona) che ha contribuito alla definizione popolare di Titano della musica attribuita al musicista di Bonn.
Il primo movimento “Allegro con brio” inizia subito col tema principale, senza introduzione, introducendo l’ascoltatore nell’atmosfera “eroica” del brano: un maestoso monumento in forma di sonata, ove anche i temi più dolci e riflessivi, a volte in pp (pianissimo) hanno sempre un piglio epico, un movimento di proporzioni gigantesche, spesso caratterizzato da un forte elemento ritmico, che celebra senz’altro la vittoria del bene sul male. Con il secondo movimento, la celeberrima “Marcia funebre” “Adagio assai”, Beethoven ci trascina nell’abisso del dolore universale. Un tema desolato, in do minore, di una solennità e maestosità senza eguali, apre questo movimento di proporzioni amplissime. Una parte centrale nella tonalità maggiore, toccante e commovente, quasi una pausa di ricordo e di tenera consolazione, cede il passo al primo tema, che a un certo punto si trasforma in un fugato che ove il movimento tocca l’apice della sua tragicità, per ripiegarsi infine nella sua desolazione. Dopo uno “Scherzo. Allegro vivace” un movimento quasi di danza che sostituisce il tradizionale Minuetto, ecco il Finale “Allegro molto”, un tema eroico, magistralmente variato, che Beethoven aveva già utilizzato nelle sue Variazioni op. 35 per pianoforte conclude in maniera affermativa ed eroica questo straordinario capolavoro.
L’Orchestra Sinfonica di Lecce e del Salento ha sostanzialmente confermato l’impressione che aveva dato il concerto n. 4: diligente, corretta, ma senza quei picchi, quei momenti di straordinaria intensità che tale capolavoro richiede, momenti che si sono raggiunti solo alcune volte. La direzione del giovanissimo Piotr Jaworski (28 anni), dal gesto vivace ed esuberante, ha mancato spesso la resa di quella solennità, la messa in risalto di alcuni momenti topici, soprattutto nel secondo movimento, mentre mi è parso più convincente nei due tempi finali. Piotr Jaworski è un direttore di sicuro talento, lo si è visto, seppure a sprazzi, ma forse troppo giovane per dirigere un capolavoro così complesso. Non lo ha aiutato certo l’organico un po’ ridotto dell’orchestra, almeno rispetto a questa sinfonia, per la quale, come scrisse Carli Ballola, “le più vaste sale da concerto del mondo ci sembreranno sempre troppo anguste”.
Un ottimo inizio comunque per l’Accademia Filarmonica, che ha avuto il pregio di riportare l’orchestra sinfonica nelle nostre sale, omaggiando il grande musicista tedesco.