Economia

Peperoncino “made in Calabria”, denominazioni d’origine per tutelare la filiera?

REGGIO CALABRIA – Piccante quanto basta, ma ancora da tutto da scoprire tra gusto, salute e territorio.

Parliamo del peperoncino italiano, protagonista di un evento organizzato dal Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura) in collaborazione con la Rete rurale nazionale nel corso del quale ricercatori e produttori, alla presenza del sottosegretario Mipaaf Francesco Battistoni si sono confrontati su un prodotto dalle grandi potenzialità tra i simboli gastronomici italiani.

Poco made in Italy, per 1/5 è calabrese

A fronte di una domanda sempre più alta, la produzione nazionale è scarsa e copre solo il 30% del fabbisogno. Il resto, fa sapere il Crea, proviene da mercati extra-Ue (2 mila tonnellate annue da Cina, Egitto, Turchia), a prezzi stracciati (1/5 in meno) e con bassi standard qualitativi che penalizzano la filiera.

In Italia, infatti, da 10 kg di peperoncino fresco si ottiene 1 kg di prodotto essiccato, macinato in polvere pura al 100% e commerciabile a 15 euro, mentre lo stesso prodotto proveniente dalla Cina ha un costo di soli 3 euro ed è il risultato di tecniche di raccolta e trasformazione molto grossolane, con le quali la piantina viene interamente triturata, con scarse garanzie di qualità e requisiti fitosanitari.

Denominazioni d’origine per il made in Calabria?

La ricerca è impegnata per il rilancio dell’intera filiera, tutelando maggiormente il prodotto. La creazione di denominazioni d’origine territoriale darebbe al consumatore garanzia di qualità, tracciabilità, salubrità e un valore aggiunto adeguato alla parte produttiva, incentivata ad aumentarne la coltivazione estensiva, presente oggi soprattutto in Calabria (100 ettari, con il 25% della produzione), Lazio, Basilicata, Campania e Abruzzo.

Si verrebbe, così, incontro alla domanda sempre crescente dell’industria alimentare e alle esigenze dell’export (nei Paesi Bassi va il 50% della produzione calabrese). Oltre alla certificazioni di qualità, secondo il Crea, occorre anche un ammodernamento delle tecniche di lavorazione per abbattere i costi produttivi, a partire dal miglioramento varietale delle cultivar, per ottenere frutti concentrati sulla parte superiore ed esterna della pianta, più facilmente distaccabili nelle operazioni di raccolta con macchine agevolatrici.