Udienza movimentata, ieri, al processo sul caso Fenapi, che vede tra gli imputati il sindaco di Messina Cateno De Luca, creatore a suo tempo del patronato. Sul banco dei testimoni, infatti, ieri c’era un personaggio chiave, l’avvocato Giovanni Cicala. Il professionista è uno dei principali “accusatori” del sistema Fenapi, perché alla fine di un travagliato rapporto professionale con De Luca ha messo nero su bianco una serie di fatti e denunce, entrate nell’indagine della Guardia di Finanza. Nominato da De Luca al Caf del patronato, se ne andò segnalando ai finanzieri una serie di presunte irregolarità riscontrate.
Cicala è stato esaminato dal pubblico ministero Francesco Massara, che ha avuto il suo bel da fare a rimbottare all’avvocato Giovanni Mannuccia, tra i difensori di De Luca. Lo scontro si è animato in particolare proprio sulle querele di Cicala, che alla fine non sono entrate nel fascicolo processuale, come chiesto dal legale e come invece avrebbe voluto l’Accusa.
Cicala ha ripercorso il rapporto con De Luca, le imprese, gli incontri avuti e quello che poi non si è sviluppato, delle cose programmate. Sebbene per gran parte dei fatti non ha risposto alle domande, avvalendosi del segreto professionale, per altri fatti avrebbe, secondo il giudice, effettuato dichiarazioni ulteriori rispetto a quanto già messo per iscritto nelle iniziali verbalizzazioni. La dottoressa Monforte, quindi, che conduce il processo, lo ha ammesso come “teste assistito”.
Col braccio di ferro tra Accusa e difesa di ieri la “parentesi” Cicala non si è chiusa. L’avvocato tornerà infatti in aula il prossimo 7 febbraio per sottoporsi ad altre domande del PM. Previste, a seguire, le audizioni di due consulenti tecnici e contabili che hanno coadiuvato i finanzieri durante le indagini sui bilanci di Fenapi e delle società collegate.