Coronavirus

Covid Messina: quegli anziani andati via senza le carezze dei loro cari

Ci sono storie che restano scolpite. Scorrendo l’archivio di questo terribile anno tornano le parole, le lacrime, gli sfoghi che abbiamo raccontato. I primi a riaffiorare sono senza dubbio i volti affacciati alla finestra della casa di riposo Come d’incanto.

La figlia dell’operatrice

La prima mail che riceviamo è quella di una figlia di un’operatrice della struttura. L’Asp non risponde alle loro chiamate, in quella casa in via I Settembre è arrivato il covid. Ci sono 71 anziani, 16 operatori. Nelle ore drammatiche resteranno pochi operatori, tra dolore, rabbia, paura. Là fuori i muri di gomma. Dentro, gli anziani, nessun ricambio per gli operatori, nessun medico, nessuna tuta a protezione. Ma soprattutto nessuna risposta sul loro destino. Dal 17 marzo gli ultimi a lasciare la struttura saranno il 27.

I figli degli anziani

Dei 71 anziani ospiti purtroppo ne moriranno, con il passare dei mesi, 33. La prima a scrivere, disperata è quindi la figlia di un’operatrice. Nei giorni a seguire scriveranno a Tempostretto i parenti degli anziani. E qui il dolore si fa immenso perché mentre con il passare dei giorni gli operatori verranno messi in condizione di lavorare o rientrare a casa, gli anziani (quasi tutti positivi), saranno trasferiti nei reparti covid o nelle altre Rsa. E qui, per le famiglie inizierà un altro calvario: non avere più contatti con i loro cari. Le mail per la Come d’incanto saranno pezzi di un mosaico terribile. Anche quando, dopo la relazione della Messina Social city, i parenti raccontano di genitori trattati bene e non abbandonati.

Quell’angolo di viso

Il dramma esplode dopo. Ci scriveranno in tanti, spaventati, attoniti. Alcuni sono rimasti per ore sotto la struttura pur di vedere un angolo di viso amato che andava via con l’ambulanza, pur di mandare un bacio a distanza, un saluto. Per molti è stato quello l’ultimo contatto. Il dramma esplode perché varcata la soglia del reparto covid i familiari non possono più parlare con i loro papà, le mamme, le nonne. Molto dipende dagli operatori sanitari degli ospedali. Policlinico e Papardo mettono a disposizione un numero telefonico al quale chiamare la sera per avere notizie. Ma non è la stessa cosa della voce al telefono.

Gli angeli con il telefono

Ecco che alcuni camici bianchi diventano davvero angeli e c’è la nonnina centenaria del Policlinico che riesce a parlare con i figli e i nipoti, festeggia a distanza il compleanno (e sconfigge anche il covid, a dimostrazione che l’amore allunga la vita. Ed è proprio la consapevolezza che l’amore è una medicina che spinge molti figli a scriverci supplicando di fare in modo che i loro cari vengano messi in condizione di avere un telefono o di usare quello in loro possesso. “Mia mamma è tornata bambina, senza la sua bambola morirà, si sente smarrita senza i punti di riferimento (e purtroppo infatti morirà perché si lascerà andare).

“Non ce la faccio più”

L’appello di un’anziana ospite “portatemi via, non ce la faccio più”, non farà più dormire a casa i figli (questa sarà una storia a lieto fine perché tornerà a casa). Senza i legami con la loro vita gli anziani, circondati da tute, volti con scafandri, si spengono. “Siamo i figli dei condannati a morte ci scrivono. Figli che non potranno neanche dare l’ultimo saluto ai genitori, né un funerale perché vietato. Ci sarà l’appello disperato di chi non ha potuto assistere all’addio.

I ritardi a Barcellona

A Barcellona l’arrivo dei tablet e dei cellulari, nonostante siano stati donati dai Club service e messi a disposizione del Policlinico, non saranno attivati prima di 10 giorni. Purtroppo ogni giorno è una vita, figuriamoci 10 giorni. Ogni volta che mi arrivava una mail, un messaggio, da queste famiglie, avevo paura. Mi sono sentita impotente. Gli appelli per attivare tablet (inspiegabilmente al Cutroni Zodda c’erano problemi di ogni tipo) sono arrivati anche all’assessorato alla sanità. Sono stati mesi terribili.

La cura dell’amore

Anche perché quando poi venivano chiuse anche le altre case di riposo era straziante vedere i figli aspettare davanti al portone per ore, perché sapevano a quale incubo stavano per andare incontro. Queste storie di mancati addii, queste storie di un vaccino potentissimo come l’amore, di una cura miracolosa come la mano di chi ci ama, resteranno per sempre.

Storie di gratitudine

Ci sono anche le altre storie, quelle bellissime dei vecchietti che sconfiggono il covid, che festeggiano a casa 100 anni in buona salute. Ci sono migliaia di storie di quella solidarietà vera che non abbiamo raccontato e non racconteremo mai. Storie di gratitudine e di sconfinata generosità che si fa in silenzio, senza urlarla. Pagine che lasciamo bianche perché chi sa, chi ha dato, chi ha ricevuto, le ha scritte con la parola grazie e non c’è bisogno che altri le vedano. Ci sono le storie invisibili di chi aveva altri mali, anche incurabili, e si è visto improvvisamente davanti un muro, quasi sia spuntata una classifica della morte.

I nostri figli, le nostre figlie

Ci sono le storie meravigliose degli studenti che hanno sostenuto la maturità che resterà nei libri e quelle dei volontari. Ci sono i bambini che a modo loro hanno provato a raccontare la pandemia e quelle dei volontari. L’ultima storia che ho raccontato è quella di Aurora e Francesca e di un libro rubato. A prima vista non c’entra nulla col covid, ma c’entra con l’amore e con quei fiori bellissimi che sono i nostri figli e che dobbiamo curare perché loro salveranno il mondo che noi abbiamo lasciato devastato. I volti dei giovani medici neo laureati che adesso stanno entrando in frontiera o dei volontari, o quelle di chi si è inventato un modo per non farsi sopraffare dalla disfatta.

L’addio a chi non c’è più

Ma non possiamo non lasciare il 2020 senza l’addio a quei nostri nonni e nonne che l’addio non lo hanno avuto. Erano soli e non sapevano che oltre quei vetri c’era l’amore immenso delle loro famiglie. Ecco in questo 2020 che va via diamo loro quel bacio d’addio che non hanno potuto avere. Stringiamo le loro mani, diamo loro conforto mentre attraversano quella sottile parete per andare in un’altra stanza. Come ci ha insegnato Sant’Agostino