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La crisi economica a Messina c’è e i numeri lo confermano

MESSINA – La crisi economica c’è ed è bene non fare finta di niente. Hanno fatto discutere le dichiarazioni del sindaco Federico Basile a corredo dei dati della Camera di commercio. Ma qualche timido segnale delle imprese del territorio non può smentire quanto sia profondo il malessere sociale in città. E non è certo responsabilità dell’amministrazione comunale. Ma chiudere gli occhi di fronte ai dati allarmanti e al malessere sociale non aiuta a invertire la rotta. Lo abbiamo già scritto: meglio il principio di realtà che assecondare l’orchestra del “Titanic”. Un’orchestra che suona mentre affondiamo. La crisi economica c’è, ha radici profonde e richiede il concorso virtuoso di più soggetti: i governi nazionali, regionali ed europei; i Comuni; le imprese che investano nell’innovazione; le forze sindacali e di categorie unite in un percorso che tenga insieme occupazione, diritti ed equità sociale.

Come ha evidenziato la Cgil, nella Città metropolitana messinese “il lavoro è povero. Il 36,5% dei contribuenti ha un reddito da 0 a 10.000 euro. Oltre la metà dei contribuenti (il 52,7%) ha un reddito da 0 a 15.000 euro. Una povertà economica che spesso inficia la possibilità di avere un’abitazione dignitosa, un ambiente riscaldato o climatizzato, l’accesso alle cure in un sistema sempre più privatizzato, la possibilità di fruire di eventi culturali e sociali, nonché la possibilità di garantire percorsi di studio e formazione ai propri figli”.

Le dichiarazioni ottimistiche del sindaco e i numeri che contano

Questo nulla toglie agli sforzi dell’amministrazione ma è bene avere il quadro realistico della situazione. Di conseguenza, sembrano troppo ottimistiche le dichiarazioni del sindaco: “L’economia messinese regge. Il saldo effettivo tra imprese iscritte e cessate nell’ultimo anno è positivo: +34. Quando, a fine gennaio, furono pubblicati i dati del 2023 sulle imprese in città e in provincia, era stato creato un allarmismo ingiustificato. Ritengo che i dati prima di pubblicarli si devono sviscerare e analizzare molto bene. E infatti due mesi dopo Infocamere fotografa un dato positivo. Escludendo le imprese cessate d’ufficio, perché inattive da anni, il saldo da negativo si trasforma in positivo. Il mondo del lavoro cambia e va rielaborato e rigenerato, anche dagli imprenditori, con i quali comunque c’è sempre un confronto collaborativo e costante”.

In realtà, il dato relativo a imprese che chiudono e che aprono conta fino a un certo punto. Bisognerebbe pure conoscere nei dettagli le caratteristiche delle singole aziende. In ogni caso, i numeri che contano davvero sono quelli legati all’emigrazione, al reddito povero, alla disoccupazione, all’occupazione precaria e a quella, spesso una chimera, stabile.

Il compito dell’amministrazione è di rafforzare le condizioni affinché, ed è uno degli obiettivi di Basile, s’investa di più nel territorio con imprese nazionali e internazionali. E, al tempo stesso, vanno valorizzate le aziende locali che riescono a nascere e durare qui. La burocrazia, e speriamo in un uso proficuo dei nuovi assunti al Comune, può giocare un ruolo favorevole in questo contesto, se efficiente e al passo con i tempi. Ma il punto di partenza è quello di guardare in faccia la realtà.

Un lavoro precario e povero caratterizza una Messina in crisi

Mette sempre in luce la Cgil: “Aumenta l’occupazione ma il lavoro è precario e povero. I dati Istat relativi all’occupazione del 2023 segnalano un aumento di occupati, anche in virtù dell’aumento degli attivi. Si registrano 176.000 occupati sul territorio di Messina (107.000 uomini e 69.000 donne), 7.000 unità in più rispetto al 2022. Non c’è però da gioire – osserva la segretaria confederale Stefania Radici – perché come registra l’Osservatorio Inps sui nuovi rapporti di lavoro, solo il 13,9% viene assunto con un contratto a tempo indeterminato. Il 56,5% dei nuovi assunti nel 2023 ha firmato un contratto a termine; il 22,2% ha avuto un contratto stagionale, il 3,1% in apprendistato, il 2,4% un contratto intermittente e l’1,8% in somministrazione.Si è venuto a creare un lavoro precario, che non dà la stabilità per immaginare e costruire percorsi di vita autonomi”.

Si confermano pure l’altissima disoccupazione femminile nel territorio messinese e i più alti tassi dei cosiddetti neet tra i 15 e i 29 anni. Ovvero coloro che non studiano e non lavorano.

Che fare, allora? Lo ribadiamo: servono un’identità produttiva dai contorni definiti, puntando sulla città universitaria e sulle sue potenzialità; la qualità dei servizi; l’innovazione tecnologica, nel digitale e nelle infastrutture, con un potenziamento in tutto il Mezzogiorno; la mobilitazione fattiva di tutta la classe politica; la progettazione europea e nazionale; le Zone economiche speciali (Zes): queste sono le strade. Servono posti di lavoro e disegni imprenditoriali ad ampio respiro.

L’emigrazione economica è il vero problema

Partiamo da qui, sapendo che, allo stato attuale, le attività industriali, commerciali e nei servizi sono asfittiche. Il numero vero che va invertito è quello dell’emigrazione economica. Finché questo dato sarà crescente, e il numero di pensionati s’innalzerà, la situazione reale sarà drammatica. Tutto il resto è superfluo. E, per poter sognare e progettare, abbiamo bisogno di un bagno di realtà come punto di partenza.