Cronaca

Messina: il cimitero delle saracinesche. Non è andato tutto bene. LE FOTO

Messina, 7 aprile 2021. Un anno dopo il Covid, un anno dopo il lockdwon. Ho camminato per le vie del centro, là dove c’erano negozi, bar, piccoli esercenti, magari sopravvissuti a stento ad una crisi decennale. Ho camminato davanti ad un cimitero di saracinesche abbassate.

Non è andato tutto bene

No, non è andato tutto bene. Anzi, è andato peggio. Quel che resta di promesse solenni e canti sui balconi è questo cimitero di saracinesche, questa sfilza di cartelli con la scritta AFFITTASI, VENDESI. Vetrine buie, saracinesche abbassate per non rialzarsi più. C’è chi è sopravvissuto alle prime chiusure ma non ce l’ha fatta nell’Italia a colori. Che poi sembra quasi una presa in giro definirla a colori quando invece per migliaia di imprenditori dei settori più colpiti, come in una tragica roulette russa dei codici Ateco, gli unici colori sono il bianco e nero dell’agonia.

La roulette dei codici Ateco

Sono anche questi i numeri della pandemia, per i quali non è giusto voltare le spalle, perché tantissime chiusure sono inspiegabili e inspiegate. Si era detto riaprire in sicurezza, si sono fatti migliaia di protocolli e poi, quando si è compreso che il fallimento del Paese è stato non essere in grado d’investire sulla sanità si è tornati al vecchio metodo delle chiusure. Pagano i codici ateco “sbagliati”.

La protesta degli slip

A Napoli migliaia di esercenti hanno inscenato la protesta degli “slip”. Già perché nell’Italia dei codici Ateco la biancheria intima è un bene essenziale e quei negozi sono rimasti aperti. Così per protestare in un Paese in cui se protesti per fame ti accusano di essere negazionista, i napoletani hanno invaso le vetrine di mutande, perizoma, sottane, slip, calzini. “Se vendiamo biancheria intima sopravviviamo, se vendiamo scarpe no”. La lotteria della sopravvivenza, mentre le tasse sono solo “sospese” e non cancellate e si fa finta di non sapere che anche solo un giorno di chiusura fa la differenza tra la vita di un’impresa e la sua fine. Per non parlare di contributi ridicoli, che arrivano in ritardo e che sono un terno al lotto.

Effetto domino

No, questi cimiteri non interessano a nessuno. Eppure siamo tutti uniti, c’è un’interdipendenza tra le persone e quel che non si comprende è che la morte di una sola impresa ha un effetto domino. Prima o poi i soldi finiranno per tutti. Se uccidi il motore delle imprese uccidi l’economia. E non serve essere fini economisti per saperlo.

Messina muore

Intanto Messina, che già non se la passava bene, muore. E dobbiamo stare zitti, perché è vietato protestare, si fanno assembramenti, non si capisce il momento. Già, il momento. Il panorama di Messina è grigio, una lunga sfilza di saracinesche abbassate grigie come la vita che si spegne. Se un’impresa muore anche i lavoratori non potranno comprare il necessario per vivere, affollare i supermercati e i panifici, non avranno soldi per comprare i farmaci, andare al cinema, al ristorante. Nessun uomo è solo.

“…e sempre allegri bisogna stare”

Non so perché ma stamattina, dopo aver visto le immagini delle proteste di ieri in tutta Italia mi è tornata in mente “Ho visto un re”, una “poesia-canzone” di Enzo Jannacci: “E sempre allegri bisogna stare Che il nostro piangere fa male al re. Fa male al ricco e al cardinale. Diventan tristi se noi piangiam. E sempre allegri bisogna stare Che il nostro piangere fa male al re. Fa male al ricco e al cardinale Diventan tristi se noi piangiam. Ah beh”.

E sempre allegri bisogna stare, mentre Messina diventa un cimitero di saracinesche abbassate, che il nostro piangare fa male al re. Guardate queste foto. No, non è andato tutto bene. Non si canta l’Inno d’Italia dai balconi. Non è andato tutto bene. E’ andato peggio.