Politica

Per il pianeta depresso chiamato Messina serve una visione culturale, non il tirare a campare

MESSINA – Immaginate di vivere in una città dove da anni le nuove generazioni scappano non appena sia possibile. Dove il boom delle case sfitte si somma con un numero di occupati inferiore a quelli che non lavorano, in una realtà priva d’imprese. Dove la disparità fra coloro che vivono in modo agiato e quelli che si sostengono con sussidi, precariato e lavoro nero risulta eclatante. Dove la mancanza di formazione lavorativa e di un impiego delle donne e dei giovani soddisfacente sono la norma. Dove l’emergenza casa e l’assenza di servizi pubblici e d’infrastrutture efficienti, con un’eccessiva durata dei lavori quando non vengono bloccati, appesantiscono il presente e rendono incerto il futuro. Cosa? Dite che non c’è nulla da immaginare? In effetti, questa è Messina.

Da tempo lo sosteniamo: serve un’idea di città. In quest’ambito, ci si aspetterebbe che forze politiche, sindacali, sociali e imprenditoriali interagiscano con costanza, a livello nazionale, regionale, cittadino e provinciale, per invertire la rotta. Se il rischio per il sud è quello di perdere il treno del Pnrr, Piano nazionale per la ripresa e resilienza, i ritardi e le difficoltà rivelano quanto ci sia bisogno di classi dirigenti e professionalità solide per spostare la progettazione europea nel Meridione d’Italia. Per far sì che ci sia una rinascita. Una necessità, pena la sua sopravvivenza, ancora più forte per Messina e il suo territorio.

I progetti di riqualificazione ci sono ma non bastano rispetto alla domanda di messa in sicurezza del territorio e di rilancio con una valorizzazione dello scenario ambientale. L’idea che la città dello Stretto da terra di passaggio diventi luogo di scambio internazionale a livello universitario, e non solo, potenziando il suo ruolo nel cuore del Mediterraneo, è una strada da percorrere. Ma, in generale, sembra che si lavori a compartimenti stagni. Politiche sociali e welfare, politiche del lavoro, strategie turistiche, economiche e imprenditoriali, avrebbero bisogno di una regia più incisiva.

In questo, la latitanza dei partiti appare drammatica. Da parte sua, l’amministrazione comunale dovrebbe farsi portatrice di una visione culturale e progettuale d’insieme da proporre agli attori regionali e nazionali. O Messina si apre al mondo, non rimanendo un pianeta a sé stante, dove ancora si discute d’isole pedonali e di logiche e dinamiche del secolo scorso, o la crisi continuerà a essere considerata qualcosa di strutturale, quasi “normale” e irreversibile.

La trascuratezza delle strade e il dibattito propagandistico sul ponte

La stessa trascuratezza delle strade, il degrado a cui tutti ci siamo abituati, la sporcizia e l’incuria, richiedono un nuovo patto tra cittadini e istituzioni. La sensazione è che la rassegnazione e il tirare a campare, così radicato nella questione meridionale, facciano di Messina una realtà sudamericana, tra baracche e ville e in mezzo il deserto. E questo scenario va contrastato mettendo in campo un serio progetto politico, culturale e sociale. Tutto il resto è fuffa.

Lo stesso dibattito sul ponte sullo Stretto dovrebbe essere affrontato con un’analisi rigorosa e imparziale dei pro e dei contro sul piano dei contenuti. Ma rischia, e già lo è, di diventare una continua campagna elettorale e propagandistica del ministro Salvini e di un centrodestra che ha trovato nella parola ponte la parola magica. Come se bastasse la parola per ottenere quel “miracolo italiano” di berlusconiana memoria. Servono progetti a breve, media e lunga scadenza. Per i miracoli, basterebbe tentare di risollevare questa città con un lavoro serio, lungo e faticoso. Astenersi pifferai magici.