Coronavirus

Covid Messina, sequestrati in casa da 40 giorni. “Ormai negativa, ma l’Asp non risponde”

40 giorni chiusi dentro casa. Una quarantena nel senso letterale del termine. Una situazione assurda e ingiustificabile vissuta da un mese e dieci giorni da una famiglia messinese. Che si è ritrovata praticamente sequestrata dentro casa propria. L’ennesima storia di Covid e mala gestione dell’emergenza Covid da parte dell’Asp di Messina. 

La storia di G.

G. P è un’infermiera dell’ospedale Papardo. Il 6 novembre, nell’ambito del consueto screening fatto dall’ospedale sui suoi operatori, la signora G. scopre di essere positiva ad un tampone rapido. Immediatamente si chiude in casa con la sua famiglia. Avvia tutta la procedura per segnalare la sua condizione all’Asp di Messina. Insieme a lei ci sono i suoi figli di 9, 15 e 18 anni. G. inizia ad aspettare indicazioni dall’Asp. Passa invano una settimana. Finalmente il 15 novembre la prima chiamata che la informa che dovrà stare in isolamento, che lei giustamente aveva già iniziato dall’esito del tampone rapido, e che le fissa il primo tampone molecolare il 20 novembre. 

I tamponi

Quel giorno i medici dell’Usca si presentano a casa sua, effettua il tampone. Sei giorni dopo la chiamano, le comunicano telefonicamente l’esito negativo, ma le fissano un secondo tampone per il 28 novembre. Pochi giorni dopo la chiamano ancora e le dicono che dovrà farne un altro ancora l’8 dicembre. Nel frattempo però non le arriva nessuna comunicazione scritta sull’esito dei suoi tamponi. Solo telefonicamente riesce a sapere che è negativa a entrambi i test fatti a fine novembre. Non ha però nessuna certificazione scritta. E dall’Asp le spiegano che, anche se negativa, deve aspettare il certificato che le consente di poter tornare alla vita normale e al lavoro.

Nel frattempo i suoi figli, negativi fin dal primo momento, condividono con lei questa “prigionia” senza poter neanche andare a scuola. G. inizia a mandare mail, prova a contattare tutti i numeri utili dell’Asp e dell’Usca. Ma nulla. Non riesce ad ottenere risposte. Passano i giorni, sta bene, sa di essere negativa, ma non può uscire di casa.

Lo sfogo

Il suo sfogo è amaro: «Penso che chiudere le famiglie in casa senza dare alcuna risposta sia un abuso di potere. Per non parlare dell’ aspetto psicologico che comporta lo stare obbligati in casa stando bene. E, inoltre, essendo infermiera “forse” potrei dare il mio contributo nelle corsie invece che stare chiusa dentro casa». G. racconta che anche altri suoi colleghi si sono ritrovati nella stessa trappola infernale. Perché a Messina, peggio del Covid, forse c’è la gestione del Covid.