Il 2 ottobre 2008 il suicidio del prof. Adolfo Parmaliana. Le sue ultime parole: “Mi vogliono mettere alla gogna”

Il 2 ottobre 2008 il suicidio del prof. Adolfo Parmaliana. Le sue ultime parole: “Mi vogliono mettere alla gogna”

Il 2 ottobre 2008 il suicidio del prof. Adolfo Parmaliana. Le sue ultime parole: “Mi vogliono mettere alla gogna”

venerdì 01 Ottobre 2010 - 22:11

Un’ultima lettera di saluto scritta ai familiari, poi il lancio nel vuoto. A distanza di due anni rimane fitto il mistero sulla morte del docente di Chimica Industriale dell’Ateneo di Messina che ha però mandato in subbuglio il mondo sistema politico, universitario ed affaristico della città dello Stretto. Il ricordo di Lumia: “Difensore della legalità”

Alle 18.37 di due anni fa, sulle pagine di Tempostretto.it, (vedi correlato in basso), veniva pubblicata una notizia destinata a mettere in subbuglio il mondo universitario, politico e giudiziario della città dello Stretto. Nel pomeriggio del 2 ottobre 2008, infatti, il prof, Adolfo Parmaliana (58 anni), docente di Chimica Industriale presso l’Ateneo Peloritano, decise di mettere fine alla propria vita, gettandosi da un viadotto della A/18 Messina-Palermo. I vigili del fuoco trovarono la Bmw 320 di Parmliana abbandonata sul viadotto di Patti Marina: poi da lì solo un lancio nel vuoto, un vuoto che ancora oggi familiari, amici, e parenti non riescono a colmare.

Sul cadavere del docente, trovato nei pressi di un canale, venne subito disposta l’autopsia. Ma a creare più scalpore fu quella lettera che Parmaliana scrisse poco prima di compiere l’inaspettato gesto e che lasciò sulla scrivania del suo studio. Parole pesanti come macigni quelle messe nero su bianco dal professore militante tra le file dei Ds di Terme Vigliatore, rivelatrici di un fangoso intreccio tra mafia, politica e mondo universitario. Le ultime parole (in basso riproponiamo il testo integrale della lettera), rivolte alla moglie Cettina, al papà, alla mamma, ma soprattutto “Ai miei amati figli Gilda e Basilio, Gilduzza e Basy, luce ed orgoglio della mia vita”.

Nei mesi a seguire la morte di Adolfo Parmaliana fu la goccia che fece traboccare un vaso forse stracolmo di scomode verità. Quelle contenute nell’ampia informativa “tsnunami” pubblicata sulla pagine de “l’Espresso” dal giornalista Riccaro Bocca (vedi correlato). Dalla documentazione emersero innumerevoli irregolarità amministrative e penali nella gestione del Comune di Terme Vigliatore (sciolto per infiltrazioni mafiose a seguito delle denunce avanzate dallo stesso Parmaliana) e allarmanti condotte poste in essere, fra l’altro, proprio da due dei magistrati dei quali il docente aveva lamentato inerzie e omissioni, il dottor Olindo Canali, sostituto procuratore della Repubblica a Barcellona Pozzo di Gotto, ed il dottor Antonio Franco Cassata, attuale Procuratore generale presso la Corte di appello di Messina. E poi ancora tanto altro. Oggi però non si ricordano le vergogne, ma si onora il prestigio morale di un uomo, forse ucciso dall’indifferenza delle istituzioni, o forse inconsapevole “vittima” di sé stesso, di quella ostinata voglia di cambiare le cose in una realtà in cui l’acqua ristagna senza mai rigenerarsi.

Questo il ricordo del senatore Beppe Lumia: ““Adolfo Parmaliana era un uomo appassionato della politica, per l’affermazione della legalità e dello sviluppo. Le sue denunce sulla presenza mafiosa, la devastazione del territorio, l’abusivismo, la cattiva amministrazione operata dagli enti locali … non solo non furono ascoltate dalle istituzioni, ma gli costarono l’isolamento e la denigrazione. L’indignazione, la solitudine, la frustrazione lo portarono all’estremo gesto di togliersi la vita. La sua testimonianza è un patrimonio prezioso di impegno civile e di amore per il bene comune e un monito per quanti accettano indifferenti le condizioni di degrado e la cultura mafiosa nelle quali sono immersi”. (In basso alcuni articoli sulla scomparsa del professore)

Di seguito l’ultima lettera d Adolfo Parmaliana

La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi, mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito di servitore dello Stato e docente universitario.

Non posso consentire a questi soggetti di farsi gioco di me e di sporcare la mia immagine, non posso consentire che il mio nome appaia sul giornale alla stessa stregua di quello di un delinquente. Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi.

Non glielo consentirò, rivendico con forza la mia storia, il mio coraggio e la mia indipendenza. Sono un uomo libero che in maniera determinata si sottrae al massacro ed agli agguati che il sistema sopraindicato vorrebbe tendergli.

Chiedete all’Avv.to Mariella Cicero le ragioni del mio gesto, il dramma che ho vissuto nelle ultime settimane, chiedetelo al senatore Beppe Lumia chiedetelo al Maggiore Cristaldi, chiedetelo all’Avv.to Fabio Repici, chiedetelo a mio fratello Biagio. Loro hanno tutti gli elementi e tutti i documenti necessari per farvi conoscere questa storia: la genesi, le cause, gli accadimenti e le ritorsioni che sto subendo.

Mi hanno tolto la serenità, la pace, la tranquillità, la forza fisica e mentale. Mi hanno tolto la gioia di vivere. Non riesco a pensare ad altro. Chiedo perdono a tutti per un gesto che non avrei pensato mai di dover compiere.

Ai miei amati figli Gilda e Basilio, Gilduzza e Basy, luce ed orgoglio della mia vita, raccomando di essere uniti, forti, di non lasciarsi travolgere dai fatti negativi di non sconfortarsi, di studiare, di qualificarsi, di non arrendersi mai, di non essere troppo idealisti, di perdonarmi e di capire il mio stato d’animo: Vi guiderò con il pensiero, con tanto amore, pregherò per voi, gioirò e soffrirò con voi.

Alla mia amatissima compagna di vita, alla mia Cettina, donna forte, coraggiosa, dolce, bella e comprensiva: ti chiedo di fare uno sforzo in più, di non piangere, di essere ancora più forte e di guidare i ns figli ancora con più amore, di essere più buona e più tenace di quanto non lo sia stato io.

Ai miei fratelli, Biagio ed Emilio, chiedo di volersi sempre bene, di non dimenticarsi di me: vi ho voluto sempre bene, vi chiedo di assistere con cura e amore i ns genitori che ne hanno tanto bisogno. Alla mia bella mamma ed al mio straordinario papà: vi voglio tanto bene, vi mando un abbraccio forte, vi porto sempre nel mio cuore, siete una forza della natura, mi avete dato tanto di più di quanto meritavo. A tutti i miei parenti, ai miei cognati, ai miei zii, ai miei cugini, ai miei nipoti, a mia suocera: vi chiedo di stare vicini a Gilda, a Basilio ed a Cettina. Vi chiedo di sorreggerli.

Ai miei amici sarò sempre grato per la loro vicinanza, per il loro affetto, per aver trascorso tante ore felici e spensierate. Alla mia università, ai miei studenti, ai miei collaboratori ed alle mie collaboratrici sarò sempre grato per la cura e la pazienza manifestatemi ogni giorno. Grazie. Quella era la mia vita. Ho trascorso 30 anni bellissimi dentro l’università innamorato ed entusiasta della mia attività di docente universitario e di ricercatore.

I progetti di ricerca, la ricerca del nuovo, erano la mia vita. Quanti giovani studenti ho condotto alla laurea. Quanti bei ricordi.

Ora un clan mi ha voluto togliere le cose più belle: la felicità, la gioia di vivere, la mia famiglia, la voglia di fare, la forza per guardare avanti.

Mi sento un uomo finito, distrutto. Vi prego di ricordarmi con un sorriso, con una preghiera, con un gesto di affetto, con un fiore. Se a qualcuno ho fatto del male chiedo umilmente di volermi perdonare.

Ho avuto tanto dalla vita. Poi, a 50 anni, ho perso la serenità per scelta di una magistratura che ha deciso di gambizzarmi moralmente. Questo sistema l’ho combattuto in tutte le sedi istituzionali. Ora sono esausto, non ho più energie per farlo e me ne vado in silenzio. Alcuni dovranno avere qualche rimorso, evidentemente il rimorso di aver ingannato un uomo che ha creduto ciecamente, sbagliando, nelle istituzioni.

Un abbraccio forte, forte da un uomo che fino ad alcuni mesi addietro sorrideva alla vita.

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