L’opinione. Siamo tutti CSI (Crime Scene Investigation)

L’opinione. Siamo tutti CSI (Crime Scene Investigation)

L’opinione. Siamo tutti CSI (Crime Scene Investigation)

lunedì 28 Febbraio 2011 - 08:43

La cronaca nera spadroneggia in Tv e allora ecco spuntare come funghi investigatori improvvisati pronti a fornire la propria personale ricostruzione dei fatti

In principio fu il plastico di Porta a Porta. Poi, dagli zoccoli insanguinati di Cogne, passando per la strage di Erba, fino al garage di Avetrana, è stato un crescendo mozartiano di “elementare Watson” in salsa televisiva, di morbosità in diretta, di accanimento mediatico alimentato da un esercito di “esperti” da far impallidire Colombo. Se un tempo l’Italia era un paese di allenatori ( e tutti di gran lunga più bravi di Bearzot e Lippi) adesso siamo diventati tutti meglio dell’ispettore Derrick,anzi, diciamocelo pure, a noi Sherlok Holmes ci fa un baffo….Penso che gran parte della colpa sia dei telefilm americani, da Csi a Criminal Mind, passando per Ncis, Law and Order , The Mentalist, Cold Case, Senza traccia, fino a True Lies e Bones. Del resto se Csi c’è in diverse città degli Stati uniti: Csi Los Angeles, Miami, New York, perché non può esserci qualcosa di analogo a Castelnuovo sul mare, o un Csi a Mazara del Vallo??? Allora ecco spuntare come i funghi, al primo apparir di omicidio, uno stuolo di cameraman, giornalisti, fotografi, pronti a sfiancarci con interminabili dirette televisive grazie all’immancabile ausilio in studio di sociologi, scrittori, cantanti, show girl, concorrenti di reality, opinionisti di vario genere e anche qualche psicologo in ordine sparso.

Tutti lì, a scandagliare ogni millimetro di quella che ormai, anche all’asilo lo sanno, si chiama “scena del crimine”, per trovare assassini, moventi (nascosti e palesi, inconsci, subconsci e straconsci), armi del delitto, testimoni, passanti, rabdomanti, conoscenti e semplici “osservatori”. E gli unici ad apparire, nel migliore dei casi come “ingenui” quando non incompetenti, sprovveduti, o peggio, sono loro, gli investigatori nostrani, che purtroppo a scuola da Grissom (il capostipite dei Csiani) non ci sono stati. Dalle dieci del mattino fino alla sera siamo costretti ad assistere all’interrogatorio in diretta dei passanti, allo scoop dell’inviato che ha scovato la vicina di casa del cugino dell’ex fidanzato della vittima, il quale giura d’aver sentito dire, dal fornaio comprando il pane, che la vittima un giorno aveva detto qualcosa su qualcuno, insomma, una pista “fondamentale” trascurata dagli investigatori ufficiali. Ammettiamolo, in realtà, quello che queste trasmissioni offrono è un preziosissimo aiuto agli investigatori italici che poveretti, a differenza dei colleghi americani non hanno a disposizione l’attrezzatura megagalattica di Csi e affini in grado di capire da uno sputo lasciato in aria non solo da chi provenisse ma anche cosa avesse mangiato nelle ultime 24 ore lo sputatore.

Così in tv la velina ci spiega la sua versione dei fatti su Sarah Scazzi, il conduttore in pensione ci aiuta a capire i retroscena della scomparsa di Yara, il giornalista di gossip ci fa addentrare nel subconscio dei coniugi di Erba, e lo scrittore di libri per bambini ci illumina sui ritardi nell’inchiesta. E tutte queste ore ed ore di trasmissione, di grafici, plastici, ricostruzioni, sono supporti indispensabili alle indagini e non, come potremmo erroneamente pensare “chiacchiere da bar”. Quindi ben venga, mentre tentiamo una vaga digestione dopo pranzo, l’ inseguimento degli inviati di turno al postino che ha appena consegnato un plico nel palazzo “incriminato” (non si sa mai, potrebbe essere una prova schiacciante, una missiva esplosiva, la confessione del serial killer), o la 372esima telefonata in diretta all’avvocato di una delle parti, o al poliziotto, o al cronista locale e ancora le interminabili disamine sul punto della situazione, visto da ogni singolo ospite in studio.

La cosa più divertente è assistere a vere e proprie risse sulla diversa interpretazione dei fatti e misfatti. In fondo, guardando queste dirette ci sentiamo un po’ a casa, quando intorno al tavolo ognuno dice la sua, con tono da investigatore navigato, sull’omicidio del giorno. A furia di guardare queste trasmissioni ci scopriamo tutti esperti sulle tecniche più sofisticate, come quelle, ad esempio, che consentono di trovare la “cella” cui si aggancia il telefono quando camminiamo. Tecniche queste che ci sgomentano un po’, perché potrebbero diventare armi micidiali nelle mani di coniugi gelosi. “Che ci facevi tu lunedì 23 marzo 1998 alle 18.15 in via Cavour nei pressi del terzo albero, proprio a pochi chilometri di distanza dalla casa della tua fidanzata del liceo????” Inutile appellarsi al diritto all’oblio, visto che dai tempi del liceo son trascorsi 32 anni e che nel frattempo la tipa si è trasferita a Lugano e fa il medico. E che comunque nel 1998 tu non eri neanche fidanzato con l’attuale donna che ti sta facendo l’interrogatorio. Altro che Grande Fratello, Isola dei famosi, il vero reality oggi è la strage in diretta, la tragedia vissuta minuto per minuto, il tutto quello che volevate sapere e non osate domandare sul triplice omicidio dei criceti rossi della signora Francesca. Anche perché ognuno di noi ha un’idea chiara sin da subito su chi ha ucciso la povera Meredith a Perugia, la povera Chiara (infatti siamo preparatissimi sul sangue sul pedale della bicicletta del fidanzato, sulle tracce sulle scarpe da ginnastica, sulle gemelle cugine della vittima).

Se nello studio di un medico, o nell’autobus, o su una panchina, qualcuno accenna alla tragedia del momento, si scatena l’inferno, l’intera sala sembra catapultata nello studio della Vita in diretta.

Conosco amici che hanno smesso di parlarsi per mesi a causa della presunta innocenza o colpevolezza della signora Franzoni, famiglie sull’orlo del divorzio perché non hanno trovato l’accordo su chi ha ucciso Meredith e sul ruolo di Amanda nell’omicidio. Per non parlare poi dei rapporti di buon vicinato ormai irrimediabilmente compromessi dopo la strage di Erba. Ognuno di noi ha un’anima e una testa da Criminal Mind e a volte, quando il caso viene risolto, un po’ ci dispiace se non avevamo indovinato il killer o il movente. E comunque, come nel più classico dei telefilm americani, continuiamo a seguire il caso, nella speranza di colpi di scena al processo. Stavolta però, da investigatori ci trasformiamo in avvocati o giudici. Se proprio non possiamo scoprire l’assassino esaminando lo scontrino del Mac Donald’s trovato vicino al cadavere per arrivare al giorno in cui il killer ha mangiato le patatine senza maionese, almeno ci possiamo consolare nel condannarlo o assolverlo. Il mio sogno più grande, lo ammetto, è di far parte di una di quelle giurie popolari americane dei film di Grisham, e di poter alzarmi quando il giudice chiede: “la giuria ha emesso il verdetto?”e dire, scandendo solennemente le parole “in merito all’imputazione di strage multipla con premeditazione prolungata e studiata attentamente, con l’aggravante della cattiveria già insita nell’animo sadico dell’assassino, questa giuria dichiara l’imputato….”. Ah, che sogno, molto meglio che dire “elementare Watson” alla mia parrucchiera. Perché è davvero difficile imitare il dottor House se non conosci neanche le neuro globuline, ma dire la nostra sul perché l’assassino ha agito mentre pioveva ed era buio è la cosa più facile e più appassionante del mondo.

Rosaria Brancato

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