Aquiloni. Il patto del Nazareno

Salvo e Maddy condividono una panchina: da un lato un Forrest Gump melomane, citazionista e impregnato di cultura evangelica, dall’altro una pretty woman poco eighties e pretty e molto escort, tatuata e sboccata. Due emarginati tra cui sboccia quasi per caso un tenero amore: in sottofondo le canzoni di Rino Gaetano, Tenco e De André, un paio di racconti quotidiani sul filo del paradosso, traumi inconfessabili e timidi abboccamenti. Poi i prodigi che rivelano la natura ultraterrena di Salvatore: Maddalena si cambia d’abito e si reca pentita al sepolcro, un’anima è stata redenta.

Tra farsa e Vangelo, Aquiloni di Nicola Alberto Orofino traduce alcune parabole didattiche da catechismo in una messa in scena rapida e melodrammaticamente funzionale. Limitati al minimo i patetismi, la buona novella si sviluppa in un dialetto siciliano intriso di lirismo e asciugato da ogni pruriginoso sentimentalismo: il messinese Francesco Bernava e la catanese Alice Sgroi sposano la leggerezza del racconto con semplicità e brio, muovendo sul palco l’afflato di libertà del testo con gioiosa mansuetudine. Un grido di emancipazione, ben testimoniato dalle scene scomponibili firmate da Arsinoe Delacroix, ulteriore gioco di citazioni che consente agli attori di dilatare lo spazio del racconto verso nuovi smarrimenti emotivi.

Applausi scroscianti ai Magazzini del Sale per un lavoro che ha tutti gli ingredienti per piacere alle masse, dalla semplicità del linguaggio alla riconoscibilità dei motivi sottesi, quasi scolastici nella loro plastica rappresentazione. Mirando a Pascoli, il risultato si attesta tuttavia dalle parti di Richard Bach: rischi del mestiere.

Domenico Colosi