Vladimir Ashkenazy, una guida all’ascolto

Vladimir Ashkenazy, una guida all’ascolto

giovanni francio

Vladimir Ashkenazy, una guida all’ascolto

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mercoledì 31 Maggio 2017 - 06:00

Il leggendario pianista si esibirà con il figlio Vovka in un repertorio di musica pianistica a quattro mani

Il Teatro di Messina si accinge ad ospitare, giovedì 1 giugno (ore 21), uno dei più grandi pianisti viventi, il russo Vladimir Ashkenazy, che suonerà a quattro mani con il figlio Vovka, pianista di grande talento e specializzato in musica da camera. Ritengo utile, per prepararci a questo straordinario evento che ci offre l’occasione, forse unica, di ascoltare dal vivo questo immenso artista, introdurre l’ascolto dei brani in programma con le seguenti brevi note.

Questo particolare genere musicale, il pianoforte a quattro mani, ai giorni nostri forse un po’ desueto, era invece molto in voga ai primi dell’ottocento, ai tempi di Franz Schubert. Il compositore austriaco compose numerosi pezzi per questo organico, sia per motivi economici – essendo la musica per piano a quattro mani facilmente commerciabile fra gli editori – sia per motivi didattici – chi ha studiato o insegnato pianoforte sa che uno dei migliori metodi per imparare il tempo e il ritmo, più del metronomo, consiste proprio nell’esecuzione a quattro mani – ma soprattutto per il piacere di suonare insieme, fra amici, le famose schubertiadi. Era uno splendido modo di trascorrere le serate insieme, un mondo lontano e ormai perduto, che rievoca le dolci gioie di suonare fra amici in quella che era sicuramente la capitale della musica europea, la Vienna ottocentesca. Se il genere non è caduto nel dimenticatoio, e ancora lo vediamo rappresentato, anche se non spesso, nelle sale da concerto, si deve al fatto che per pianoforte a quattro mani sono stati scritti autentici e immortali capolavori. Schubert probabilmente è l’autore che ha lasciato ai posteri i capolavori di più elevata fattura, in particolare l’indimenticabile “Fantasia in fa minore”, il “Gran Duo” e il “Divertissement à la hongroise in sol min. D. 818 (op. 54)”, il primo brano che ascolteremo giovedì e che rappresenta a mio avviso il piatto forte della serata. In tre movimenti: Andante, Marcia: Andante con moto, Allegretto il brano, si ispira alla musica magiara, zigana, che nel capolavoro di Schubert viene come trasfigurata in una fantasia ricchissima di spunti melodici, di idee, di ritmo travolgente. L’”Andante”, a carattere rapsodico, di assoluta libertà nella forma, è notevole soprattutto per il dolce tema iniziale, tipicamente schubertiano, che crescendo diventa quasi epico. La “Marcia” secondo movimento, è una breve composizione dal delizioso sapore ironico, e dal ritmo irresistibile. Il terzo movimento “Allegretto” in forma di rondò, è il tempo più lungo ed il vero fulcro dell’opera. Il continuo alternarsi della tonalità da maggiore a minore, il ritmo trascinante, il ricchissimo contenuto di spunti melodici, ne fa una delle migliori composizioni in assoluto del musicista austriaco. Meravigliosa e raffinatissima la coda, con la quale il pezzo si “dissolve” in sordina, in una sorta di dimensione onirica, dolcissima e incantevole. Moldau (La Moldava) è sicuramente il brano più celebre del padre della musica boema, Bedrich Smetana. Tratto da“Má vlast” – La mia patria, una raccolta di sei brani per orchestra ispirati alla Boemia, descrive il fluire del principale fiume della regione, la Moldava, che attraversa le campagne boeme per fare ingresso finalmente nella capitale Praga. È un brano amato da tutti gli appassionati di musica, dai temi indimenticabili. Soggiornando a Praga, alla vista dello spettacolo del fiume che attraversa la splendida città dividendola in due, mi è subito venuto alla mente il tema di questo brano, e la stessa sensazione mi è stata raccontata da molti amici appassionati di musica che hanno visitato Praga. La versione per pianoforte a quattro mani, originale di Smetana, non può rendere quei meravigliosi effetti degli archi che descrivono il fluire del fiume, ma confesso di non averla mai ascoltata, magari un’interpretazione magica degli Ashkenazy mi farà ricredere. La maggior parte delle opere orchestrali di Maurice Ravel in realtà sono trascrizioni per orchestra di brani concepiti originariamente per pianoforte. Altre composizioni orchestrali, come ad esempio il Bolero, in realtà erano destinate alla danza, altre scritte come musica di scena, o infine per orchestra ma con il pianoforte solista. L’unico capolavoro concepito direttamente per orchestra è proprio la “Rapsodie espagnole”, che invece curiosamente ascolteremo nella riduzione dell’autore per pianoforte a quattro mani. Da notare tuttavia che il terzo brano di cui si compone l’opera, “Habanera”, fu composto anch’esso originariamente per pianoforte a quattro mani. La “Rapsodie espagnole” fa parte di quei numerosissimi brani ispirati al mondo ed al folklore spagnolo, tratto comune a molti musicisti francesi della seconda metà dell’ottocento – si pensi a Chabrier e la sua “Espana” , Iberia e alcuni pezzi per piano di Debussy, l’Heure espagnole, il Bolero, Alborada del Gracioso di Ravel stesso – e rappresenta certamente una delle opere più riuscite del musicista francese. Ravel trasfigura nel suo mondo raffinato e intellettuale le sensazioni suscitate dal paese così amato, e ci restituisce i suoni, i profumi e i colori della Spagna in maniera del tutto personale e inimitabile. Si compone di quattro brevi brani: “Prélude à la nuit”, incantevole momento lirico che ci fa immergere nelle magiche atmosfere notturne della Spagna, basato su un tema fondamentale di quattro note discendenti che cattura immediatamente l’ascoltatore. “Malagueña”, il secondo brano, si ispira alla danza tipica di Malaga, dalle movenze sinuose e sensuali. Il terzo brano, “Habanera”, rievoca i momenti andalusi, dal carattere esotico, ed infatti la danza è in realtà di origine cubana. È l’unico brano composto originariamente per pianoforte a quattro mani, e piacque moltissimo a Claude Debussy, che chiese la partitura in prestito, salvo poi essere accusato di plagio per il suo pezzo per piano, tratto dalle Estampes, dal titolo Soirée dans Grenade, la cui somiglianza ad Habanera in effetti è assai evidente. Conclude questo capolavoro “Feria”, un pezzo brillante e intriso di ritmi folkloristici spagnoli, di grande effetto.

L’ultimo brano in programma, la “Suite n. 1 op. 5 (Fantaisie-Tableaux)” di Sergei Rachmaninov, dedicato a Tchaikovsky, è un’opera relativamente giovanile del compositore russo, e consiste in una serie di quattro quadri musicali – Barcarolle: Allegretto; La Nuit… L’Amour: Adagio sostenuto; Les Larmes: Largo di molto (Le Lacrime) e Pâques: Allegro maestoso (Pasqua) – che compendiano già tutte le caratteristiche poetiche che connoteranno le opere della maturità: i momenti lirici (Barcarola), quelli appassionati (La Nuit… L’Amour), quelli più seri, lugubri, quasi spettrali (Les Larmes e Pâques, quest’ultimo probabilmente il brano più efficace). Buon ascolto.

Giovanni Franciò

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