Le calamità naturali e il rapporto uomo-natura: una voce fuori dal coro

Le calamità naturali e il rapporto uomo-natura: una voce fuori dal coro

Le calamità naturali e il rapporto uomo-natura: una voce fuori dal coro

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martedì 13 Ottobre 2009 - 08:55

Riflessioni di una cittadina Aspromontana a seguito del tragico evento alluvionale che ha colpito il Messinese Jonico

Settima piaga: la grandine. “Vi furono grandine e lampi tra la grandine molto pesante, quale non c’era stata in tutto il paese d’Egitto da quando era diventato nazione. La grandine colpì in tutto il paese tutto quello che c’era nella campagna, dall’uomo all’animale; la grandine colpì tutta l’erba del campo e spezzò tutti gli alberi della campagna.” Esodo 8 ( 24,25)

Nell’antichità i disastri ambientali sono considerati punizioni divine, da parte degli dei pagani o del Dio cristiano, in contrasto con l’operato degli umani. I testi mitologici e l’ antico testamento forniscono ampia testimonianza di stragi di moltitudini di genti: acque del fiume che diventano sangue,invasione di rane e cavallette, di zanzare e moscerini, e mosconi; il buio e la grandine e ancora il diluvio universale solo per citare alcuni fenomeni tra i più particolaremnte ricordati dalla storia.

Anticamente l’uomo è nomade, si ferma temporaneamente sul territorio che presenta maggiori opportunità per soddisfare esigenze indispensabili di sussistenza.

Con il passare del tempo l’uomo scopre la possibilità di coltivare la terra e di allevare animali e, di conseguenza, diventa stanziale. Nasce così il bisogno di una dimora fissa, di una casa, inizialmente di paglia e frasche, che nei secoli pur cambiando e modificandosi soprattutto nelle strutture architettoniche, diviene sempre più raffinata e completa di agi e comodità. Nel tempo l’ idea di avere una casa propria diviene uno status fondamentale del cittadino mentre contemporaneamente crescono i centri urbani che si ingrandiscono esageratamente fino a diventare metropoli caratterizzate da abitazioni sempre più anonime e simili a casermoni pluricellulari, da strade con traffico intenso, dove è difficile muoversi a piedi. Si è impostata una società sull’asse produzione-consumo, per cui bisogna produrre per consumare e consumare per produrre. Chi non partecipa a questo ciclo, come i vecchi e i bambini, sono considerati inutili e, quindi, emarginati. Economicamente si costruiscono castelli virtuali che di tanto in tanto crollano causando crisi strutturali che coinvolgono tutto il villaggio globale. E l’ uomo attuale è uno strumento di questo ingranaggio frenetico, spesso asfissiante, che gli impedisce di alzare gli occhi per guardare il cielo perchè la schizofrenia virtuale lo spinge a rincorrere idoli e miraggi spesso falsi e ingannevoli.

Compresso in questo ingranaggio maledetto l’uomo attuale dimentica di essere egli stesso creatura della natura e spesso si comporta come se questa gli fosse nemica, e sovente in nome del progresso non esita letteralmente ad oltraggiarla, anche se spesso inconsciamente, direi con un paradosso, -naturalmente-.

In questo contesto si è diffusa molta confusione ,nella quale trovano spazio come veri e propri detrattori qualunquisti gli ambientalisti radicali che dicono -NO- in base al pregiudizio che tutto nella natura deve essere immobile. Infatti se, per esempio, dovessi osare di tagliare un albero vecchio, magari per sostituirlo con una giovane piantina, rischio il carcere; se poi un albero vecchio cade procurando danni ingenti e magari uccidendo qualcuno, viene aperta un’inchiesta per trovare il colpevole di turno. Si trascura il fatto che l’albero è una creatura della natura, che ha pur esso un ciclo vitale e mentre per l’uomo la morte viene considerata un evento inevitabile, per l’albero questa non è contemplata e piuttosto ogni pianta deve essere custodita per secoli e secoli.

Totem e feticci. Si trascura il fatto che i cambiamenti climatici fanno parte dei cicli naturali del nostro pianeta che nel corso della sua storia ha visto alternarsi, per esempio, deserti e zone ad intensa vegetazione e viceversa; distese di mari e oceani con terre emerse e viceversa. Diverse glaciazioni, dunque, si sono succedute nel corso dei millenni : ora però vogliamo fermare il corso della storia, denigrando il presente per esaltarlo non appena esso diventa passato. Adoriamo totem e feticci, e siamo assenti dal nostro tempo.

Oggi pare che piuttosto che vivere il presente si preferisca celebrare il passato restando con lo sguardo fisso, immobile su di esso.

Certo è che i grandi passi avanti in campo scientifico dovrebbero aiutare l’uomo ad arginare molti disastri ambientali e climatici, ma con equilibrio e saggezza.

Il nubifragio di Messina. Considerando i recenti fatti alluvionali di Messina, nel mese di ottobre del 2007 c’era stato un avviso molto forte, del quale fa un ampio e profondo resoconto Giovanni Micalizzi, un giovane di Scaletta Zanclea che allora ha creduto di morire come racconta egli stesso in un articolo pubblicato in quei giorni. Però io mi chiedo quante persone sarebbero disponibili a lasciare il proprio luogo di residenza per un rischio futuro che considerano più o meno aleatorio. Ancora oggi, ad appana sei mesi di distanza dalla tragedia, capita di sentire sopravvissuti al terremoto d’ Abruzzo che vogliono tornare a vivere assolutamente nel proprio luogo, nelle stesse abitazioni di prima anche se ad altissimo rischio sismico. E anche gli abitanti di Scaletta e Giampilieri vogliono subito tornare nelle loro case, nonostante la montagna potrebbe ricominciare a franare con le prime piogge.

Si cala Mannoli. Ho avuto la fortuna di nascere a S. Stefano in Aspromonte, nei dintorni di Reggio Calabria, in quello che considero il paese più bello del mondo, situato in un posto incantevole della collina dell’Appennino Calabrese. Durante i violenti temporali che ogni tanto ci vengono a visitare, da piccola sentivo gli anziani compaesani fare la considerazione “si cala Mannoli ci sotterra”. Mannoli è un villaggio che sovrasta il paese e certamente in passato ci sarà stato qualche episodio significativo perchè si affermasse quel timore. E se un giorno dovesse accadere l’irreparabile si griderà allo scandalo e si cercherà il colpevole anche se il territorio è abbastanza curato.

Le campane zittite. Ricordo che per avvisare i cittadini di un pericolo incombente si usava suonare a martello le campane, che erano installate sia nei campanili delle chiese sia presso torri civiche. Oggi le campane non suonano più perchè danno fastidio alla vita ingabbiata in locali cellulari di condomini litigiosi e squallidi, privilegiando il rombo di motori impazziti e il frastuono assordante di karaoki e discoteche. Però non sono state sostituite, non c’è alcun modo, infatti, nell’epoca dell’informazione in tempo reale, non c’è modo per avvisare la popolazione di un rischio grave, sia esso climatico, ambientale, o comunque di interesse generale come incendi o pericoli di vario genere.

Forse. Forse abbiamo esagerato con il cemento più o meno armato, forse abbiamo esagerato con l’urbanizzazione selvaggia e il traffico caotico che impedisce ritmi di vita umani.

Forse, anzi senzaltro, abbiamo esagerato allevando animali da macello in modo brutale, abbiamo senza dubbio esagerato adottando un’alimentazione troppo proteica e “troppo” abbondante.

Forse….forse…forse dovremmo ripensare seriamente le case di paglia, antisismiche e più sicure.

Forse dovremmo pensare una vita più semplice e più naturale, rinunziando all’idea ossessiva di una dimora fissa e riabituarci a cambiare spesso luogo di abitazione adeguandoci ai cambiamenti della natura, privilegiano la sicurezza agli agi delle nostre case.

Forse dovremmo fare tesoro delle esperienze che ci racconta la storia del passato per vivere assaporando il nostro tempo.

Forse dovremmo essere più seri, più saggi e più equilibrati per cambiare le cose che possiamo cambiare e per accettare filosoficamente quelle cose che cambiare non possiamo, senza ipocrisie e senza pregiudizi, ma con la speranza che il nostro futuro è nel nostro cielo : basta alzare gli occhi per gustare le bellezze dell’universo.

Mimma Suraci

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