“Cavalleria rusticana”, il Teatro di Messina gremito per il melodramma di Mascagni 

“Cavalleria rusticana”, il Teatro di Messina gremito per il melodramma di Mascagni 

Giovanni Francio

“Cavalleria rusticana”, il Teatro di Messina gremito per il melodramma di Mascagni 

lunedì 28 Aprile 2025 - 09:00

Una rappresentazione di otimo livello al Vittorio Emanuele

MESSINA – Una rappresentazione di ottimo livello quella alla quale abbiamo assistito domenica al Teatro Vittorio Emanuele, dell’opera più celebre di Pietro Mascagni, in coproduzione E.A.R Teatro di Messina, Conservatorio “A. Corelli” di Messina.

Una prova più che dignitosa dell’Orchestra del Conservatorio “A. Corelli”, sapientemente diretta per l’occasione da Francesco Ommassini, che ha saputo rendere appieno il dramma verista che si sviluppa fra scene corali (soprattutto) e liriche individuali, interpretate da artisti di tutto rispetto.

Tratta dall’omonima novella di Verga, su libretto di G. Targioni – Tozzetti, l’opera di Mascagni.

vide la sua prima rappresentazione a Roma nel 1890.

La vicenda si svolge in un villaggio della Sicilia, ed è solo apparentemente un dramma della gelosia. Turiddu, al quale era stata promessa in sposa Lola, di ritorno dal servizio militare apprende che quest’ultima è andata in sposa ad Alfio. Turiddu allora si consola con Santuzza, prima seducendola ma poi trascurandola. Santuzza allora, innamorata ed in preda al dolore, rivela ad Alfio il tradimento di Lola con Turiddu. Durante una bevuta con gli amici all’osteria della madre Lucia, dopo la messa di celebrazione della Pasqua, Alfio sfida Turiddu al duello mortale. Turiddu raccomanda alla madre di prendersi cura di Santuzza ed esce di scena. Subito dopo il tragico epilogo: una voce del popolo urla “Hanno ammazzato compare Turiddu”.

La Cavalleria rappresenta l’emblema del verismo in musica, tutti i personaggi sono dei vinti, Alfio, che uccide un amico non certo per gelosia, ma perché è quello che da lui ci si aspetta in una civiltà arcaica, ancestrale, dove tutti sembrano muoversi secondo volontà non proprie ma manovrati da un fato ineluttabile; Turiddu, che muore per un tradimento non commesso, e raccomanda alla madre Santuzza, per senso del dovere, pur non amandola; Santuzza stessa, che, accecata dal dolore per l’amore infedele, provocherà la morte del suo amato, e vivrà col rimorso per tale nefandezza.

Il capolavoro di Mascagni è soprattutto un dramma corale, che ricorda la tragedia greca, non sono i singoli ma l’insieme a condurre l’opera, e grande protagonista, oltre la musica, è proprio il coro.

Infatti, il melodramma non spicca tanto per le singole arie, quanto per gli affreschi imponenti e drammatici, si pensi alla processione della Pasqua, ove il coro, con lo splendido “Inneggiamo, il Signor non è morto”, ci regala uno dei momenti più toccanti dell’opera, o la scena del brindisi “Viva il vino spumeggiante” cantata da Turiddu accompagnato ancora dal coro. Un’altra grandissima protagonista è ovviamente la musica, già dal suo dolcissimo e lungo Preludio, ma soprattutto nel memorabile Intermezzo, un brano intenso e struggente, quasi un tenero e partecipato commento del musicista alla tragedia che sta per compiersi.

La regia di Floriana Sicari è stata rispettosa della tradizione, sobria ma molto efficace la ricostruzione del villaggio siciliano ove si sviluppa il dramma (scenografia a cura de “La Bottega fantastica”), da un lato la locanda di Lucia, qualche tavolo, sedie e sgabelli di legno, con sullo sfondo una suggestiva immagine di una stradina di campagna con dei vecchi casolari, dall’altro la chiesa, con un grande crocifisso davanti, ove si svolge una parte del dramma, la superba rappresentazione della domenica di Pasqua. Perfetti i costumi ispirati alla Sicilia di fine Ottocento, realizzati dalla Sartoria dell’Ente Teatro di Messina.

Buona la prova dei cantanti: convincente Samuele Simoncini, un Turiddu forse un po’ statico, ma dotato di un’ottima voce; Giuseppina Piunti, l’indimenticabile Santuzza, molto brava anche sotto il profilo dell’interpretazione scenica; Luca Bruno, un eccellente Alfio; Oleksandra Chaikovska, una Lola dalle appropriate movenze civettuole; Gabriella Grassi, una Mamma Lucia in ombra fino alla splendida scena finale con il suo grido di dolore e l’abbraccio con Santuzza, prima che il corpo di Turiddu venga portato in scena sanguinante, sopra una carriola. Ottimo, infine, il Coro Lirico “Francesco Cilea”, diretto da Michele Amoroso, grande protagonista di questo melodramma, che ha eseguito in maniera eccellente gli impegnativi ed importanti brani ad esso destinati, accompagnato dall’Orchestra del Conservatorio messinese, che, come detto, è stata assolutamente all’altezza.

Strepitoso successo di pubblico, che ha tributato fragorosi applausi a tutto il cast.

In replica martedì 29 alle ore 21:00

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