Il mistero del "Colosso di Capo Peloro": la statua che vigilava sullo Stretto

Il mistero del “Colosso di Capo Peloro”: la statua che vigilava sullo Stretto

Daniele Ferrara

Il mistero del “Colosso di Capo Peloro”: la statua che vigilava sullo Stretto

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lunedì 09 Luglio 2018 - 08:38

Viaggio nelle origini della nostra città. Raccontiamo la storia dell'enorme statua che pare sorgesse presso Capo Peloro

Lo Stretto cela molti misteri, com’è chiaro a tutti coloro che abbiano dimestichezza con le storie e i miti di Messina. Oggi riportiamo alla luce la storia dell’enorme statua che pare sorgesse presso Capo Peloro, rivolta verso la punta d’Italia, a guardia della Sicilia.

Il patriarca bizantino Fozio I, nella sua Biblioteca, tramanda un episodio tratto dall’opera perduta dello storico egizio Olimpiodoro di Tebe, il quale raccontava che quando Alarico I, Re dei Visigoti, reduce dal sacco di Roma intendeva passare in Sicilia, si fermò sulle rive dello Stretto intimorito da una statua sacra che sorgeva dall’altro lato: “Questa statua si dice sia stata consacrata dagli antichi come una protezione dai fuochi dell’Etna e dal passaggio dei barbari attraverso il mare. In un piede conteneva un fuoco che non veniva mai estinto, nell’altro una riserva d’acqua che non si guastava mai”; più tardi un certo Asclepio, amministratore delle proprietà imperiali in Sicilia, distrusse il colosso per cieco zelo cristiano e d’allora “gli abitanti soffrirono grandemente dall’Etna e dai barbari”.

Il simulacro è esistito davvero. Ma che aspetto aveva? Chi rappresentava? Dove si trovava? Si può rispondere con un buon margine di certezza determinato dalle raffigurazioni nell’arte antica.

Le monete coniate da Sesto Pompeo durante la sua dittatura in Sicilia recano simboli prettamente siciliani a legittimazione della sua sovranità sull’isola, come una, che nel verso raffigura Scilla e nel recto il Faro del Peloro: una torre dal basamento a gradoni sulla cui sommità sorge un dio nudo con il capo cinto d’elmo beotico, che regge nella mano destra un tridente e protende la sinistra in avanti (porgendo il fuoco?), mentre il piede destro poggia sulla prua d’una nave. Sembrerebbe Nettuno, al quale i Pompei erano devoti, ma un affresco nelle catacombe di Siracusa che rappresenta lo stesso identico soggetto erto sopra una fortificazione, lo identifica come Zeus Peloros: uno Zeus, simile al fratello per iconografia e funzioni, che protegge Capo Peloro.

La sua posa si presta a un’interpretazione: il dio, innalzato a guardia dello Stretto, schiaccia una nave sotto il piede in segno di minaccia a chi vuole invadere la Sicilia. Non a caso, alcuni autori parlano di una tempesta che affondò diverse navi gotiche durante il tentativo di traversata; fu lui a scatenare la tempesta che bloccò i Visigoti in Italia?

Possiamo supporre che l’antico faro si trovasse presso il medievale Forte degli Inglesi, ove alcuni scavi hanno individuato i resti di un basamento molto più antico, verosimilmente parte dell’antico complesso fortificato del Faro. La datazione del sacello ove si trova il dipinto siracusano, l’uso di un elmo tipico della cavalleria macedone e l’affinità dell’atteggiamento del dio con un modello scultoreo di Lisippo, fanno risalire il monumento almeno al periodo ellenistico. Per essere osservata e distinta attraverso lo Stretto, la struttura (incluso il simulacro di considerevole stazza) doveva essere molto più imponente dell’odierno faro ottocentesco e alta circa la metà del Pilone.

Come si è detto, la statua fu abbattuta a ridosso dei secoli bui e cercarla potrebbe essere vano; forse possono trovarsene dei resti, ma dove? Invero, ciò che più di splendido dona a noi la memoria di questo colosso è la coscienza che un tempo creammo una tale meraviglia e che questa, in qualche modo, ci ha protetti finché abbiamo voluto credere nel dio del cielo. Le idee, se fermamente professate, possono prendere corpo e muoversi nello spazio quasi con volontà proprie; è questa la lezione che Zeus Pelorio impartisce, dopo duemila anni, a Messina, in una delle sue età più difficili.

Per quanto riguarda il colosso, chissà, magari un giorno lo erigeremo di nuovo, più bello e maestoso, a celebrazione di una rinnovata grandezza di Messanion.

Ringrazio il professor Franz Riccobono per la segnalazione dell’argomento e l’appoggio nella ricerca.

Daniele Ferrara

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