Green Park sul Torrente Trapani, in appello l'accusa chiede la conferma delle condanne

Green Park sul Torrente Trapani, in appello l’accusa chiede la conferma delle condanne

Alessandra Serio

Green Park sul Torrente Trapani, in appello l’accusa chiede la conferma delle condanne

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venerdì 21 Novembre 2014 - 18:32

Ad una svolta il processo di secondo grado scaturito dall'operazione Oro grigio. Il pg Enza Napoli ha chiesto ai giudici di confermare la condanna a 4 anni e mezzo per l'avvocato Fortino, l'impiegato comunale Ponzio e l'ex vice presidente del consiglio comunale Bonanno. Chiesta la conferma anche delle condanne per i costruttori Arlotta.

“Confermate il verdetto emesso in primo grado”. E’ questa la richiesta dell’accusa alla fine del processo di secondo grado scaturito dall’operazione Oro grigio, l’inchiesta che portò al sequestro del complesso Green Park sul Torrente Trapani. L’ha avanza il pg Enza Napoli ai giudici della Corte d’appello di Messina, oggi pomeriggio, dopo un’ora e mezza di requisitoria nella quale ha ripercorso la genesi dell’indagine, le vicende emerse, le questioni tecniche legate alla sentenza di primo grado.

Il sostituto procuratore generale ha stigmatizzato il ruolo dei dirigenti regionali coinvolti, additando i meccanismi deviati della burocrazia. Infine ha riportato stralci di conversazioni, intercettate dalla Squadra Mobile nel corso delle indagini, che hanno svelato il ruolo dei protagonisti, in particolare dell’ex vice presidente del consiglio comunale Umberto Bonanno. Alla fine dell’udienza la Corte ha dato la parola alle parti civili e rinviato al prossimo 5 febbraio per ascoltare i difensori degli imputati.

LA SENTENZA DI I GRADO – Era stata “salomonica” la sentenza emessa nel 2012 dal presidente della I sezione del Tribunale, Attilio Faranda, dopo oltre 6 ore di camera di consiglio, in un caldo pomeriggio di luglio: Quattro anni e mezzo di condanna per l’avvocato Giuseppe “Pucci” Fortino, U Bonanno, esponente di destra, e per il funzionario comunale Antonino Ponzio. Prescrizione dalle accuse per i funzionari regionali Rosa Anna Liggio, Giuseppe Giacalone e Cesare Antonino Capitti. Due anni e 6 mesi la condanna per il costruttore barcellonese Giovanni Arlotta, i soci Giovanni e Santi Magazzù (l’avvocato Laura Autru, suo difensore, oggi ha depositato una memoria scritta) e Antonino Smedile della immobiliare Samm. Assolto, invece, Salvatore Arlotta, figlio del costruttore.

I giudici avevano inoltre disposto il risarcimento al WWF, assistito dall’avvocato Aura Notarianni, stabilendo una provvisionale di 40 mila euro, e ha liquidato i danni ai promissari acquirenti degli appartamenti del complesso, di cui hanno disposto la confisca. Nel dettaglio la Corte aveva condannato gli imputati per corruzione, assolto tutti dall’accusa di associazione a delinquere, applicato la prescrizione per i reati di abuso. Infine la Corte ha condannato al risarcimento, in solido, il Comune di Messina.

L’inchiesta è scattata alla metà del decennio scorso, ed ha svelato i retroscena di diversi affari e progetti edilizi maturati all’ombra del Prg. A coordinare l’attività è stato il dirigente Giuseppe Anzalone, oggi capo della Squadra Mobile. Una cimice ben piazzata nell’ufficio del dirigente comunale Manlio Minutoli ha indotto gli investigatori a puntare la lente su diverse pratiche di concessione edilizia. Una di queste era appunto quello del costruendo Green Park sul Torrente Trapani, una zona da più parti considerata a rischio per problemi idrogeologici ed al centro di una massiccia aggressione edilizia, ancora in corso. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali sui protagonisti dell’affare Green Park hanno poi rivelato un giro di tangenti.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA: Granitiche. Le motivazioni dei giudici offrirono uno spaccato pesantissimo di come sono gestiti gli affari, soprattutto quelli edilizi, a Messina. I giudici ripercorrono l’iter del progetto, secondo l’accusa oliato per elevare la cubatura del complesso, ormai confiscato. Emergono così le figure del “politico” Bonanno impegnato a muovere i propri canali a Palermo per superare gli ostacoli procedimentali alla concessione, dei soci Ponzio e Gierotto per seguire, “scrivania dopo scrivania”, l’iter della concessione.

Tutto per denaro, ovviamente, poco o tanto che sia. Come dimenticare Bonanno che, in auto, conta il denaro appena ricevuto da Fortino e si lamenta dell’esiguità del pagamento, definendolo “pizzarella"? Un comitato d’affari, certo, quello che si è mosso intorno al Green Park. Ma non un’associazione a delinquere, secondo i giudici, che non trovano collante stabile, apporti in affari pregressi, tra gli imputati, se non il fatto che in quella occasione si è presentato loro un lauto affare e lo hanno spartito.

Diverso il giudizio sull’innegabile tangente e quindi il quantum delle condanne emesse. “La corruzione era funzionale a realizzare una trasformazione del territorio di portata imponente, la somma pretesa a titolo di corrispettivo era elevatissima e l’arroganza e prepotenza dimostrata nel pretendere il denaro indebito non comune: si pensi alle pressioni continue ed alle minacce fatte da Fortino ad Arlotta, alle continue interferenze di Ponzio nell’attività dei suoi colleghi che a vario titolo si sono occupati della pratica de qua per ragioni d’ufficio, nonché alla pretesa dello stesso non solo di avere appartamenti non dovuti ma anche di dotarli di “confort” – come un ascensore panoramico- di lusso, nonché allo sfruttamento da parte di Bonanno di legami politici a livello regionale e nazionale. Una pena inferiore sarebbe sproporzionata al riprovevole mercimonio di pubbliche funzioni fatto.”, avevano concluso i giudici.

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