Il primato della politica e la stazione di Messina

Il primato della politica e la stazione di Messina

Il primato della politica e la stazione di Messina

giovedì 24 Dicembre 2009 - 10:44

L'impreparazione e l'arroganza della politica continuano a condizionare lo sviluppo della città

Quante volte abbiamo sentito i politici celebrare con supponenza e sicurezza il Primato della Politica?

Tante da essere indotti ad accettarlo come una Verità di Fede.

Davanti al Primato della Politica abbiamo persino paura di chiedere spiegazioni, timorosi di essere tacciati da ignoranti, qualunquisti o addirittura eretici, nemici delle Sacre Istituzioni Democratiche.

Oggi siamo convinti che di questo concetto si è fatto un abuso vergognoso, fino a renderlo indifendibile, moralmente e logicamente; immiserito al punto di trasformarlo in un volgare tentativo per propagandare la (falsa) superiorità del giudizio politico sul giudizio morale.

Una puerile scusa per affermare – come sosteneva Norberto Bobbio, grande studioso dei fondamenti della Democrazia – che esiste una ragione dello stato diversa dalla ragione degli individui, che autorizza l’uomo politico a perseguire i propri scopi senza essere obbligato a tener conto dei precetti morali.

Certo, i primi ad usare questa sentenza le attribuirono un nobile significato: chi è legittimato (democraticamente eletto) a rappresentare il popolo e a interpretarne la volontà deve godere di un potere maggiore rispetto a tutti gli altri.

Dove tutti gli altri sono i tecnici, i nobili, i ricchi, i potenti e così via.

Ineccepibile concetto.

Il guaio è che, col passere del tempo, ciò ha autorizzato l’invasione della politica – o, meglio, del potere dei politici – in ogni attività pubblica, incluse quelle nelle quali la politica non c’entra e non deve assolutamente entrare.

Col rischio che scelte sbagliate condizionino irrimediabilmente la crescita civile ed economica della società.

I teorici del funzionamento delle democrazie affermano che la politica (o, meglio, i politici) devono rinunziare a gestire la fase di attuazione dei provvedimenti deliberati nelle sedi competenti.

Rinunzia che si traduce nell’affidare a tecnici, manager e dirigenti adeguati al compito la realizzazione pratica delle direttive generali.

Le sole di cui i governanti debbono occuparsi.

In soldoni, si deve evitare che siano politica o gruppi di pressione – direttamente o indirettamente ad essa legati – a occuparsi delle soluzioni tecniche dalle quali dipende il funzionamento di attività vitali per la comunità amministrata.

Saltiamo a piè pari le centinaia di esempi di Consigli d’Amministrazione lottizzati, Presidenti e Amministratori delegati premiati dalla politica per il fatto di avere portato voti al partito o ai suoi leader o semplicemente per l’impegno o la fedeltà mostrati.

Con la conseguenza, sotto gli occhi di tutti, del mancato funzionamento di ogni tipo di servizio pubblico (viabilità, trasporti, acqua, trattamento dei rifiuti, sicurezza del territorio, etc.).

Soffermiamoci, invece, sulle deleterie scelte urbanistiche effettuate in base a indicazioni politiche volte ad accontentare lobby e lobbisti di ogni genere e grado.

Partiamo dall’esempio più vergognoso, le cui conseguenze saranno pagate – speriamo solo esteticamente e non con tragedie come quella recente – per tutti gli anni a venire: le centinaia di varianti al Piano Regolatore che hanno consentito l’edificazione selvaggia delle colline.

Passiamo al percorso del tram, spostato sulla Cortina del Porto, in barba a qualsiasi logica urbanistica, per assecondare le richieste del Comitato della Vara.

Che dire poi del nuovo Tribunale, che – sempre che non si perdano i finanziamenti a favore di Catania – l’interesse pubblico vorrebbe decentrato (tutto) in una nuova area, servita da mezzi pubblici e dotata di ampi parcheggi. E vede invece potenti lobby battersi a favore di scelte accomunate solo dal fatto di rendere ancora più invivibile la zona prescelta.

E il Palazzo della Cultura? Se, come ci dobbiamo augurare, dovesse diventare un poderoso punto di aggregazione, porterà il caos nella viabilità circostante.

Il guaio è che questi veri e propri crimini urbanistici non hanno insegnato nulla ai nostri amministratori.

Se errare è umano e perseverare diabolico perché le scelte sull’ubicazione della futura stazione ferroviaria di Messina sono affidate a brava gente che sproloquia di delicatissime scelte urbanistiche sulle quali è totalmente incompetente?

Brava gente che, per un parere tecnico, si rivolge ad altra brava gente inadeguata a fornire consigli sull’urbanistica delle grandi e medie città.

Quando, in pochi mesi, un pugno di tecnici veramente qualificati avrebbe potuto sottoporre direttamente al Consiglio comunale 2 o 3 soluzioni di alto livello.

Se è questo il primato della politica, meglio cancellare il concetto dal lessico delle persone per bene.

Tornando alla scelta della nuova stazione ferroviaria, riassumiamo gli anni e anni di chiacchiere spese per prendere questa importante decisione, dalla quale dipende una parte rilevante del futuro assetto urbanistico della nostra città: Sottoterra … no … costa troppo … e poi si rischia di trovare l’acqua.

Allora a Gazzi … no, è troppo centrale … meglio più lontana dal mare … per esempio agli Orti della Maddalena.

Ma appartengono al Ministero della Difesa … ci vorranno secoli per ottenerli …

Allora mettiamola più a Sud, che ne dite di Contesse?

Potrebbe andar bene, ma Rfi – alla quale dei problemi urbanistici della città non gliene può fregà de meno – chiede che rimanga la fermata di Gazzi …

E allora facciamone 2 di stazioni, tanto … i soldi deve darceli il Governo.

Vi sono buone probabilità che venga partorito il solito papocchio, miscela di intuizioni di urbanisti dilettanti e di portatori di interessi privati.

In totale contrasto con i veri interessi della collettività.

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