La crisi incalza e il commercio messinese è in grave affanno. Gli operatori denunciano: “le istituzioni non ci aiutano”

La crisi incalza e il commercio messinese è in grave affanno. Gli operatori denunciano: “le istituzioni non ci aiutano”

La crisi incalza e il commercio messinese è in grave affanno. Gli operatori denunciano: “le istituzioni non ci aiutano”

giovedì 27 Agosto 2009 - 11:51

I numeri parlano chiaro: si moltiplicano i fallimenti e le chiusure

Crisi. Una spada di Damocle sulla testa di tutti, che ha cominciato a manifestarsi alla fine del 2008, ci ha accompagnato a braccetto per tutto il 2009 e probabilmente sarà scomoda compagna anche nella prima metà del 2010, almeno così affermano i grandi economisti nazionali ed internazionali.

Ma quando si parla di crisi si tende a generalizzare pensando ai grandi mercati mondiali e non si focalizzano le sue conseguenze sul vissuto dei territori. Per questo abbiamo voluto concentrare l’attenzione sul momento economico attraversato dalla città rivolgendo, in particolare, lo sguardo sul settore che da sempre ha svolto un ruolo trainante alle nostre latitudini, il commercio. La crisi si vede ad occhio nudo ma per verificarne la portata attraverso i numeri abbiamo avviato la nostra inchiesta rivolgendoci alla struttura che ha il compito di monitorare l’andamento delle attività imprenditoriali sul territorio, l’Ufficio Statistica della Camera di Commercio, diretto dalla d.ssa Agnese De Salvo.

E’ pur vero che il 2009 deve ancora concludersi e non abbiamo dati totali rispetto all’anno in corso, ma quelli parziali, unitamente a quelli definitivi del 2008, fanno capire la tremenda flessione che ha subìto l’economia cittadina.

Basti pensare che nel periodo 1998-2008, l’anno scorso è stato l’unico a registrare un calo delle attività iscritte al Registro Imprese della Camera di Commercio.

Una contrazione di crescita dell’1% (1,30% in meno nel comparto del commercio): se nel 2007 le imprese registrate erano 66561, l’anno scorso sono state 65861.

Nel primo semestre del 2009 il dato si attesta a 65749 imprese registrate (solo 48254 quelle che hanno però già cominciato l’attività).

Limitando la prospettiva al settore del commercio, il dato è ugualmente in flessione. Se nel 2007 erano 22166 le aziende operanti, nel 2008 sono scese a 21878.

Ma il dato più impressionante è l’altissimo tasso di mortalità delle imprese: se nel 2005 era del 3,7%, l’anno scorso è stato del 6,2%. A ciò bisogna aggiungere, l’aumento dell’11% delle imprese messinesi in crisi, contro il 3,5% registrato nel 2007.

A completare il quadro, l’allarmante situazione relativa alle imprese in fallimento. Pensate, se nel 2007 erano 81, nel 2008 sono state 185: una amara crescita del 128%! La cruda statistica conferma, dunque, il grave stato di crisi dell’economia cittadina e del commercio, che ne rappresenta la struttura portante.

Per dare un volto umano ai freddi numeri siamo scesi “in strada”, compiendo un breve sondaggio per le vie del centro cittadino: quando si pronuncia la parola “crisi” di fronte ad un commerciante si ha la proverbiale sensazione di parlare di corda in casa dell’impiccato.

Secondo Nino Puglisi, titolare di un negozio di abbigliamento “di nicchia”, la flessione c’è stata: «molte volte si arriva a fine mese con la classica acqua alla gola. Le spese di gestione sono notevoli e molte volte non vi è un riscontro di vendite adeguato, con un calo di fatturato che può essere quantificato dal 10% al 30%, dipende tanto anche dai mesi. Un po’ di respiro lo stanno dando i saldi estivi: i clienti, seppur accontentandosi di merce non all’ultima moda, comprano ad un prezzo piu’ basso e noi riusciamo a smaltire le scorte in magazzino».

Spostandoci solo per poche righe al turismo, un operatore del settore, Vincenzo Milia, ci conferma che la riduzione della capacità di spesa si è contratta: «la vacanza di lusso “tira” soltanto per i viaggi di nozze, adesso i messinesi vanno in vacanza in posti meno esotici ma a portata di portafoglio: Croazia, Malta e Spagna le mete piu’ ambite, com’anche le gite “benessere” che non valicano i confini regionali. Anche le compagnie di crociera si sono adeguate, fornendo pacchetti low cost per i turisti “via mare”». Dunque, anche chi vuole spendere denaro concedendosi una vacanza, lo fa in maniera piu’ accorta rispetto al passato evidente segno di una contrazione dei consumi.

Su tutti, ci colpisce un altro appello, proveniente da un negoziante di abbigliamento del centro, che non può passare inosservato: «siamo soli, le istituzioni non ci aiutano, sarebbe bello che qualcuno si interessasse a noi».

A rispondere è l’assessore comunale al commercio Pinuccio Puglisi che parla di un dato, quello messinese, in linea con i parametri, seppur deprimenti, nazionali. «Il fattore preoccupante è che con questi chiari di luna a settembre la situazione non dovrebbe migliorare. Come assessorato abbiamo cercato di dare l’assoluta libertà riguardo le aperture dei negozi, imponendo la chiusura soltanto l’1 maggio e il 3 giugno (giorno dedicato alla Patrona della Città, ndr). E’ vero che in periodo di crisi è necessario stringere la cinghia, ma è pur vero che i dati da voi esposti sono da prendere con le dovute precauzioni: a chiudere le saracinesche sono sopratutto gli imprenditori che hanno iniziato le loro attività con “superficialità”, senza l’adeguata previsione di costi e ricavi. Il commercio di nicchia, che non è solo quello che propone un paio di scarpe a 200 euro, ma anche quello da “tutto a un euro” e anche il commercio di prodotti specialistici ha certamente accusato il colpo, ma non in maniera così forte come si pensa».

Un altro grande problema delineatosi in questi anni, secondo l’assessore Puglisi, è quello relativo alla liberalizzazione delle licenze commerciali: «è assurdo che, in alcune zone della città, ad ogni isolato è possibile trovare un centro estetico o un acconciatore per donna. Logica vuole – continua Puglisi – che a fronte di una domanda costante, su un ipotetico numero di 10, la metà sia a rischio chiusura. Ci sarà un motivo se altre tipologie di esercizi che hanno l’obbligo di aprire a 300 metri di distanza l’uno dall’altro, come quelli di ottica, faccia fronte in maniera efficace alla crisi».

Secondo Michele Sorbera, direttore provinciale di Confesercenti, «la crisi in un tessuto economicamente debole come il nostro viene amplificata notevolmente e le imprese chiudono soprattutto nei settori “non-alimentari”. I canonici e tradizionali negozi di abbigliamento sono in fortissima crisi, anche perchè soffrono la concorrenza dei nuovi mercati, quelli asiatici su tutti. Ciò che sta “ammazzando” il mercato è l’omogeneità dei prodotti, eventualità riscontrabile sopratutto nel commercio in “aree pubbliche”. In un mercatino è possibile trovare la stessa merce su svariate bancarelle, italiane e non, e quindi si fa una corsa al ribasso sul prezzo, che lascia sempre meno spazio al guadagno dell’imprenditore. Per quanto riguarda il commercio a “posto fisso” si soffre non tanto la concorrenza extracomunitaria quanto la contrazione dei consumi, la gente non ha fiducia e non spende».

Alla classica domanda “quando finirà la crisi”, Sorbera risponde: «paradossalmente, in Sicilia non abbiamo conosciuto il lato peggiore della crisi. E ciò si verifica sopratutto al sud, da sempre una zona che gode di un’economia assistita che si basa su trasferimenti di stipendi e pensioni. La vera crisi è quella del nord, fatta da chiusura di aziende o dai licenziamenti posti in essere dalle stesse: interi gruppi familiari si sono trovati senza il reddito principale e ciò ha fatto si che si indebitassero fortemente. Per ripartire è necessario far tornare la fiducia ai consumatori, invertendo l’enorme propensione al risparmio registrata negli ultimi tempi».

L’ultima considerazione di questa nostra panoramica sull’imprenditoria messinese la dedichiamo alla multietnicità che la nostra città sta assumendo e alla relativa apertura a mercati sempre piu’ lontani, su tutti quelli asiatici. Nei dati fornitici dalla Camera di Commercio si registra un dato sempre in crescendo: se nel 2001 gli operatori extracomunitari erano 1718, nel 2008 sono stati 2813. Di questi, 1517 vengono da altri paesi europei, 1190 dall’Africa, 172 da Australia e Oceania, 472 dall’America e soltanto 316 dall’Asia. Un dato, quello relativo agli asiatici, che ci ha sorpreso non poco, dato che la proliferazione di negozi cinesi, a vista, sembra molto piu’ consistente. Su questo dato a nostro parere in controtendenza, sembra che nessuno abbia le idee davvero chiare, ma interviene nuovamente l’assessore al commercio Puglisi: «grazie anche all’ausilio degli ispettori dei vigili dell’Annona monitoriamo continuamente la loro situazione e la regolarità delle loro posizioni per quanto riguarda il commercio. Fino ad ora sono state poche le irregolarità constatate».

Noi, armati di taccuino, abbiamo provato ad intervistare un paio di commercianti cinesi, per comprendere il loro giro d’affari, i loro problemi e i loro punti di forza ma, una volta entrati nei loro esercizi commerciali, siamo stati allontanati: «non mi piace intervista», hanno tagliato corto.

Non capiamo il motivo di tale reticenza, ma noi non ci scoraggiamo e ripasseremo a breve, a crisi finita.

Si spera.

Antoclaudio Pepe

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