“Un uomo a metà”: quella brutta malattia chiamata rito sociale

Un uomo basculante si divincola in quello che potrebbe essere più che un flusso, uno slalom di coscienza attraverso un campo di Madonne di ogni sorta: è la storia di Giuseppe Rossi, ex giovane promessa del calcio, stroncata da un infortunio sul campo in giovane età, che si ritrova a gestire l’attività di famiglia: il commercio di articoli sacri. Da qui fanno il loro ingresso in scena la vita e i suoi risvolti inediti: l’incontro con Maria, l’amore prevedibile e borghese, la scoperta dell’impotenza, il rapporto controverso con la propria famiglia d’origine, tra i due genitori, delapidatori seriali da videopoker e un nonno paralitico e fascista. A raccontare la storia un bukowskiano Gianluca Cesale, dinamico fantasista che, attraverso un testo (di Giampaolo Rugo) lineare e sempre pulito, travolge il pubblico con momenti di grande carica ironica e improvvise scariche di puro dramma.

L’equilibrio è l’elemento che domina su tutto: l’equilibrio di un uomo che in equilibrio non è, zoppo nel corpo e monco della propria virilità, incapace di restituire alla propria donna il doveroso obolo del piacere carnale che, ancor prima della natura, gli viene imposto dalla società.

Nell’ “Uomo a metà” c’è la storia dell’essere maschio, dell’essere uomo, dell’essere umano. Quella storia di rifiuto e negazione che Kieslowski aveva raccontato in “Film Bianco”, sul principio di uguaglianza, sull’idea di parità uomo/donna che non riesce a compiersi per quel meccanico, e non sempre scontato, incastro fisiologico.

Ad aggiungere compostezza alla narrazione, il tocco delicato ma incisivo della regia di Roberto Bonaventura che sceglie di raccontare il dramma umano, ancor prima di quello maschile, con rappresentazioni potenti e dirette: ora il contrasto di luci e ombre nell’immagine della Madonna inibitrice di ogni pulsione sessuale, ora il gioco di riflessi nella camera d’albergo, in cui il protagonista si ritrova a specchiare se stesso quasi come rito propedeutico dell’imminente rinascita, per finire con la spettacolare scena del bagno di profumo – preambolo di una brillante pantomima delle convenzioni sociali – ritratto dell’odoroso mondo delle ipocrisie della nostra società che con la chimica ha coperto gli odori primordiali, quelli più antichi.

L’odore dell’uomo, l’odore della donna.

Giuseppina Borghese