«Come diceva Guy Debord, “Ci vuole un gran talento per non lavorare!”».

«Come diceva Guy Debord, “Ci vuole un gran talento per non lavorare!”».

«Come diceva Guy Debord, “Ci vuole un gran talento per non lavorare!”».

lunedì 13 Settembre 2010 - 11:32

Serena Bortone e Mariano Cirino raccontano la vita di nove persone particolari, svelando una realtà emblematica e tutta italiana.

L’autore e regista televisivo, Mariano Cirino e la giornalista di Rai Tre, Serena Bortone, sono gli autori dell’interessante libro Io non lavoro – Storie di italiani improduttivi e felici (Neri Pozza; pp. 240; €16). Ci sono voluti un paio d’anni per scriverlo ma scovare persone che avevano deciso di non lavorare, di rifiutare le regole e scegliere un cammino diverso da quello imposto dalla società e desiderato dalla propria famiglia, è stato più facile di quanto si possa pensare: «Ogni persona – afferma Cirino – alla quale chiedevamo “Conosci qualcuno che non ha mai lavorato?”, rispondeva “Certo!”». Un libro che contrariamente a quanto si possa pensare non nasconde nessun bieco messaggio sociologico ma che, al contrario, invita semplicemente ad osservare con «occhi diversi» il proprio lavoro.

Nove storie davvero particolari, ciascuna a suo modo emblematica. Come le avete scoperte?

«Abbiamo impiegato un paio d’anni a scrivere questo libro, e la scintilla è nata da alcuni incontri. Un amico che aveva venduto la casa che i genitori gli avevano lasciato a Roma si era trasferito in campagna. Aveva così un gruzzolo da parte che gli consentiva di non lavorare o di lavorare molto poco, dedicandosi alle sue passioni. In una festa di Minimum Fax, conosco una giovane scrittrice inglese da qualche anno in Italia. “Ma cosa fa?” chiedo in giro. Il suo libro risaliva a tre anni prima! “Niente, conosce persone, frequenta feste, si guarda attorno…” Come l’amica Moretti nella famosa scena di Ecce Bombo, che si concludeva “Ma questa sigaretta chi te l’ha data?” “Un amico passando”, mi sono chiesto, e ho coinvolto nella ricerca Serena Bortone: quanta gente c’è che riesce a non lavorare? Come fa? Che tipi sono? In realtà i personaggi che abbiamo incontrato assomigliavano raramente alla ragazza di Ecce Bombo. Abbiamo scoperto una realtà diffusa e stupefacente, emblematica della realtà italiana degli ultimi quarant’anni».

Cito dalla quarta: “Un romanzo collettivo di un gruppo di persone che suscitano invidia e fastidio”. Percentualmente quanti italiani potrebbero far parte di questo “strano esercito di non lavoratori”?

«Nessuno lo sa. Non esistono statistiche dedicate al fenomeno. Come sappiamo, già le statistiche sulla disoccupazione reale sono controverse, figuriamoci quelle su coloro che vivono senza lavorare e non cercano lavoro! Comunque: Il tasso di occupazione in Italia è il più basso in Europa, tra il 50 e il 60 per cento. E il tasso di disoccupazione tra l’8 e il 10 per cento. In teoria dunque potrebbero esserci all’incirca tra il 30 e 40 per cento degli italiani che non lavorano e che non cercano lavoro, dunque non hanno bisogno di lavorare (anche perché non c’è stato un boom del barbonismo, mi sembra). Noi non siamo dei sociologi, quindi non azzardiamo teorie e statistiche. Abbiamo notato solo che ogni persona alla quale chiedevamo “Conosci qualcuno che non ha mai lavorato”, rispondeva “Certo!”».

Sono storie che non possono che generare curiosità e invidia ma il loro comune denominatore è il coraggio, no?

«E’ vero. I nostri protagonisti non hanno nulla a che fare con i fannulloni codificati da Brunetta, che vigliaccamente percepiscono uno stipendio ma non fanno nulla per meritarselo. Sono persone che invece hanno alle spalle famiglie di grandi lavoratori, che prospettavano per i figli un futuro da professionisti, magari per lasciare loro lo studio di notaio o il posto di medico primario. Per affermarsi come non lavoratori, dunque, hanno dovuto affrontare conflitti molto aspri con i propri genitori, con le persone che li circondavano, con gli amici che provavano a convincerli che si trattava di una scelta sbagliata. La madre di uno dei nostri personaggi un giorno le dice “Sei un essere inutile”. Per un figlio, è difficile scrollarsi di dosso un macigno del genere. E poi il coraggio sta anche nell’affrontare la condizione di vuoto in cui si sono ritrovati. Un tempo infinito davanti a sé: come riempirlo? Come sconfiggere la noia? Come non cadere nella depressione, nell’isolamento, nell’emarginazione volontaria? Ecco, tutti loro ce l’hanno fatta. E sono persone con una vita piena, ricca, interessante».

“Io non lavoro” è anche una nostalgica rivalutazione dell’arte di oziare, dell’arte dei perdigiorno o un nuovo, possibile, modo di vivere?

«Noi pensiamo che il libro possa essere utile soprattutto a quelli che lavorano. Si tratta di un invito non a smettere di lavorare, sarebbe fin troppo banale, ma a guardare il lavoro che si fa, con passione o molto più spesso con grande fatica, con occhi nuovi».

La storia di Leonardo, indifferente alle regole imposte, insofferente persino al nome di battesimo o al dialetto. Eppure alla fine sembra che sia il lavoro stesso a rifiutarlo. Ci sono persone che “non sono adatte al lavoro”?

«Una domanda che non ci è mai stata fatta! Messa così, è però un po’ astratta. Sicuramente ci sono persone che messe in una condizione di lavoro che non sopportano, possono tirar fuori il peggio di loro. E non è detto che alla società sia utile un lavoratore del genere. Dobbiamo smetterla di pensare alla “piena occupazione” come ideale supremo dell’umanità. Se proprio dobbiamo coltivare un’utopia, questa non può essere che la liberazione dal bisogno, cioè da un lavoro che non sia percepito come qualcosa che risponde in profondità ai propri desideri».

La fulminea carriera di Giovalli chiude il libro. Tutta la sua vita sembra rispecchiarsi nella litografia di Escher. Un finale un po’ amaro: riuscire a non lavorare non assicura la felicità dunque…

«Niente assicura la felicità. Non esistono ricette. Per questo abbiamo ripreso la citazione di Guy Debord “Ci vuole un gran talento per non lavorare!”. La felicità è una conquista, non basta eliminare la fatica dalla nostra vita. Come per raggiungere la felicità non basta eliminare il dolore».

Mariano Cirino è autore e regista televisivo. Nato nel 1965, dopo dieci anni di RAI è approdato nella casa di produzione Magnolia di Giorgio Gori. Ha sperimentato ogni format immaginabile per tutti i canali esistenti, spaziando dalle soap opera al programma d’inchiesta, dalla docufiction al reportage sociale, dal reality alla satira. Rivendica in particolare la sua firma per Pinocchio, Invisibili, Scacco al Re, Il vizio dell’amore, Exit. Questo è il suo primo libro di narrativa.

Serena Bortone è una giornalista di Rai Tre. Ha iniziato a lavorare sotto la direzione di Angelo Guglielmi, ed è stata poi caporedattrice, inviata, autrice e conduttrice per diversi programmi della rete (da Ultimo Minuto a Mi manda Raitre, da Telecamere a Tatami) occupandosi di cronaca, costume, inchieste e soprattutto di politica. Nel 2007 ha guidato come responsabile comunicazione e ufficio stampa la campagna per le Primarie del Partito Democratico.

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