Christian Leotta e il mito di Beethoven

Christian Leotta e il mito di Beethoven

giovanni francio

Christian Leotta e il mito di Beethoven

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martedì 29 Novembre 2016 - 23:09

Il pianista catanese conclude il ciclo con la strepitosa e toccante interpretazione dell'ultima sonata di Beethoven

Il concerto di sabato 26 novembre, per la stagione concertistica dell’Associazione V. Bellini in unione con l’Accademia Filarmonica, pone fine all’esecuzione del ciclo dell’integrale delle trentadue sonate per pianoforte di Ludwig Van Beethoven, iniziato a Messina nel 2014, eseguito dal pianista catanese Christian Leotta, straordinario specialista nell’interpretazione delle sonate di Beethoven, ciclo che ha portato in giro per il mondo con strepitoso successo.

L’ultimo concerto è iniziato con l’esecuzione della Sonata n. 16 in Sol Maggiore, op. 31 n. 1, nei movimenti: Allegro vivace, Adagio grazioso, Rondò: Allegretto – Presto. L’eccellente pianista già nel secondo movimento della sonata, questa sorta di cavatina alla Rossini, con un tema elegante che viene ad ogni ripetizione variato con trilli ed ornamenti di ogni genere, ha rapito ed estasiato il pubblico trasportandolo nel fantastico mondo beethoveniano. Alla sonata in sol maggiore, una delle più serene e intrise di buon umore del musicista tedesco, ha fatto seguito, per contrasto, l’esecuzione (splendida e applauditissima) di una delle sonate più drammatiche, la n. 8 in Do Minore, op. 13 Pathétique, nei movimenti: Grave. Allegro di molto e con brio, Adagio cantabile, Rondò: Allegro. La sonata, dedicata al principe Karl Von Lichnowsky, fu inviata da Beethoven anche a quello che rappresentò il grande amore della sua vita, Josephine Brunsvik, a riprova che il grande musicista trasferì nella sonata tutta la sua passione. L’appellativo Patetica è dello stesso Beethoven, ma il significato del termine non corrisponde a quello odierno, che assume quasi una connotazione negativa, ma deriva letteralmente da pathos, cioè sentimento, passione. Capolavoro emblematico dello Sturm und Drang, la sua impetuosa drammaticità si manifesta immediatamente nel Grave iniziale, un tema sinistro che rimane impresso nella memoria e che prelude all’inquieto allegro del primo movimento; l’adagio, fin troppo celebre, è uno dei brani di più elevata nobiltà d’animo regalatoci da Beethoven, e rappresenta il momento culminante della Patetica, vero archetipo del romanticismo musicale tedesco; il rondò finale, per quanto ben costruito e di carattere anch’esso drammatico, non raggiunge però le vette toccate dai primi due movimenti. Esecuzione nobile e partecipata di Leotta, che ha strappato entusiasti applausi del pubblico, felice di ascoltare un’interpretazione di tale livello di una delle sonate più amate. La seconda parte della serata è iniziata con la Sonata n. 24 in Fa Diesis Maggiore, op. 78, nei movimenti: Adagio cantabile – Allegro non troppo, Allegro vivace. È una piccola sonata dedicata alla contessa Therese Brunsvik, soprannominata infatti Therese-Sonate, dal carattere intimo e raccolto, una pausa di rilassamento e leggerezza che ha preceduto il momento culminante di tutto il concerto, e forse di tutto l’intero ciclo di concerti che Christian Leotta ha offerto al pubblico messinese. Ha concluso infatti la serata l’esecuzione della Sonata n. 32 in Do Minore, op. 111, in due movimenti: Maestoso – Allegro con brio ed appassionato, Arietta: Adagio molto semplice e cantabile, l’ultima sonata del musicista tedesco, uno dei sommi capolavori dell’intera letteratura pianistica. Pubblicata nel 1823, consta di soli due movimenti, di eccezionale intensità. Dopo una breve introduzione misteriosa e quasi sinistra, il primo movimento esplode letteralmente con Allegro con brio ed appassionato, caratterizzato da tumultuose frasi eseguite all’unisono dalle due mani. È un brano quasi monotematico, tutto intriso di un clima di concitata tensione, con difficili elaborazioni contrappuntistiche, una prerogativa dell’ultimo Beethoven. A tale tempestosa atmosfera segue per contrasto il dolcissimo e meraviglioso 'Adagio', denominato Arietta (mai fu dato un titolo così modesto ad un capolavoro di siffatte dimensioni!). Il dolcissimo tema, tenero e profondo, è prima variato magistralmente, nelle prime due variazioni, viene poi stravolto nella terza, fortemente ritmata, strabiliante e talmente fuori da ogni schema conosciuto che alcuni contemporanei, che difficilmente potevano capire un genio che precorreva i tempi di quasi un secolo, parlarono di “demenza del genio”. Dopo la terza variazione il tema praticamente si dissolve in una serie di fantastiche divagazioni di una bellezza commovente e struggente,una delizia per l’ascolto, fino ad arrivare al momento culminante, “Uno dei più eccelsi e benedetti di tutta la musica” (Carli Ballola), in cui il ritorno del tema subisce una piccola alterazione, che produce un effetto la cui bellezza è impossibile da descrivere, se non con le parole di Thomas Mann nel suo Doktor Faustus: “…questo do diesis aggiunto è l’atto più commovente, più consolatore, più malinconico e conciliante che si possa dare. È come una carezza dolorosamente amorosa sui capelli, su una guancia, un ultimo sguardo negli occhi, quieto e profondo. È la benedizione dell’oggetto, è la frase terribilmente inseguita e umanizzata in modo che travolge e scende nel cuore di chi ascolta come un addio per sempre, così dolce che gli occhi si empiono di lacrime”.

La delicatezza e la capacità espressiva con cui Leotta ha interpretato il brano, con quell’esecuzione perfetta dei trilli, momento catartico del finale dell’Arietta, con il giusto risalto dato ai momenti più sensibili del brano, difficilmente potrà essere dimenticata dal numeroso pubblico presente, che ha ascoltato in religioso silenzio, per poi tributare, estasiato, l’applauso fragoroso a questo straordinario interprete beethoveniano che ci ha condotto in tre anni attraverso questo percorso impegnativo ma entusiasmante.

Giovanni Franciò

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