Quando sembrava che il sindaco dovesse lasciare il seggio all’Ars, in conferenza stampa annuncia l’esatto opposto: «Il giudice ha deciso che il sindaco di Acicatena dovrà lasciare solo se non avrà optato entro i dieci giorni successivi all’ultimo grado di giudizio. C’è un ricatto politico nei confronti della città, non posso cedere».
Giuseppe Buzzanca non lascia. Anzi, rilancia. Durante la conferenza stampa appena conclusasi a Palazzo Zanca, il sindaco ha annunciato di non avere l’intenzione di dimettersi da deputato regionale all’Ars, e a suo sostegno porta proprio la sentenza del tribunale di Catania che ha riguardato il sindaco di Acicatena Nicotra. Sentenza che non dichiara decaduto il sindaco, ma afferma che Nicotra dovrà decidere entro i dieci giorni successivi all’ultimo grado di giudizio. Proprio quello che prevede la “leggina” ad hoc che l’Ars approvò nel febbraio 2009 e sulla cui legittimità, però, pende un dubbio di legittimità costituzionale, posto in questo caso dal tribunale di Palermo, e sul quale dovrà decidere la Consulta nei prossimi mesi. Una vicenda che si consumerà in punta di diritto e per la quale non si può ancora scrivere la parola fine.
«Avevo detto che anteponevo, antepongo e anteporrò l’interesse di Messina e dei messinesi a tutto il resto – ha esordito Buzzanca – lo dico e lo ribadisco oggi con molta determinazione. Ho vissuto momenti di grande amarezza, perché vi è in corso un tentativo di mettere sotto scacco e di operare un ricatto mio tramite alla città. I ricatti sono odiosi, si definiscono da sé. Sono momenti che devono farci comprendere come sia difficile crescere quando è necessario sottoporsi ai ricatti e fare in modo che l’interesse della città passi da ricatti. In questi giorni si è fatto ricorso alla sentenza di Catania, che ha dichiarato decaduto il sindaco di Acicatena. Da lì una serie di speculazioni. Io voglio farmi guidare dalla prudenza, mi sono consultato con un ampio numero di legali, tra cui il mio consigliori numero uno, Marcello Scurria». Proprio il legale che lo fece decadere nel 2003. «La storia è curiosa – ammette Buzzanca – ci sono stati percorsi altalenanti in questi anni, come voi sapete. Allora rinunciai ad andare in Cassazione: potevo vincere, potevo perdere, nessuno lo saprà mai», aggiunge sorridendo verso Scurria.
«Cos’è successo: come spesso accade, le sentenze vanno lette, perché se non si leggono non si capisce la ratio e il senso può essere frainteso. Quando definivo patetica la scadenza del 1. agosto, lo facevo a buona ragione. Mi suggerivano i miei legali: leggiamola questa sentenza. Quel ricorso era infondato e la sentenza ha chiarito un passaggio molto importante: oggi la decadenza dalla carica da sindaco interverrà ex legge automaticamente, ove nel termine di 10 giorni dal passaggio in giudicato l’eletto non opti per una delle due cariche. Questa sentenza diventa una pietra miliare, un elemento molto importante. E’ evidente che oggi il problema non si pone. Se questa sentenza fosse stata depositata giorno 12, ad esempio, mi sarei già dimesso dall’Ars. Ma vi è una giustizia divina, e ha evitato che mi dimettessi, come avevo deciso di fare. E’ giusto così, perché avremmo consegnato ai nostri figli un percorso, che è quello del ricatto. Il sindaco di Messina oggi può continuare a fare il parlamentare fino a quando non sarà un giudice, e non un Vincenzino qualunque a dirmi che dovrò dimettermi. Cosa deciderà il tribunale di Messina il 22 settembre (quando si terrà l’udienza per Buzzanca, ndr)? Ho moltissima fiducia nei giudici. E non sono certo una faccia di bronzo». Quando si dice un colpo di scena.
