Alberto Ragni a Tempostretto.it: «Sono convinto che le belle storie non smetteranno mai di essere scritte»

Alberto Ragni a Tempostretto.it: «Sono convinto che le belle storie non smetteranno mai di essere scritte»

Alberto Ragni a Tempostretto.it: «Sono convinto che le belle storie non smetteranno mai di essere scritte»

venerdì 19 Novembre 2010 - 10:17

Lo scrittore romagnolo si racconta a -Tempo di Libri-

E’ stato operaio, musicista in orchestre di liscio e impiegato ma da qualche anno è insegnante – assai precario – di scuola materna a Cesena. Romagnolo doc, classe 1963, Alberto Ragni ha già pubblicato tre romanzi: Giorni felici (Fernandel), Orchestra Tramonti (Scritturapura Editore) e Cera per le sirene (Scritturapura Editore, pp. 180, €11). Gestisce un blog in cui parla di tutto ciò che gli piace o lo stupisce, Trabucco, e un tumblr in cui sfoga la sua sfrenata passione per la musica, Orchestra Trabucco. Attualmente è in cerca di un editore per il suo quarto libro («è ambientato nella scuola, ma non c’è niente di educativo o sociologico») e nonostante tutto non è affatto preoccupato per il futuro del mondo editoriale («sono convinto che le belle storie non smetteranno di essere scritte, perciò forse il futuro è di chi avrà voglia di cercarle, piccolo o grande editore che sia»). La sua idea di scrittura? Ricorda quella della vecchia guardia, senza scuole di scrittura creativa e robe simili: «E’ un lavoro artigianale, ogni tanto una maledizione, e nelle giornate buone un motivo sufficiente per stare al mondo».

Il titolo, lo abbiamo capito con Paolo Giordano, può fare la fortuna di un libro. Perché hai scelto “Cera per le sirene”?

E’ il verso finale di una poesia di Tommaso Di Ciaula. Di Ciaula nel ’78 scrisse un bellissimo romanzo sulla fabbrica e gli operai, “Tuta blu”; dentro c’è questa poesia, che secondo me sintetizzava bene anche la storia che avevo raccontato – le sirene della fabbrica, e il richiamo sensuale della sorella del protagonista. Insomma un po’ è un omaggio, un po’ un furto per necessità.

Parliamo del rapporto “speciale” che lega Corrado e Linda. Ci vuole coraggio anche solo a sfiorare il tema dell’incesto anche se, ad essere sinceri, sembra esserci più sentimento che morbosità…

L’idea che avevo di questo rapporto era una specie di incesto senza peccato. Morboso, eppure innocente. Ci sono schermaglie sentimentali, come tra fidanzatini, mentre in altri momenti Corrado e Linda hanno l’aria di una coppia di vecchi coniugi. Suggerire lo scandalo mi sembrava più interessante dello scandalo in sé. Per me è preferibile immaginare cosa succede dietro una porta chiusa che spiare dal buco della serratura.

In ogni caso oggi credi che la società italiana abbia fatto passi avanti – mi riferisco al tema delle unioni gay piuttosto che al razzismo – o credi che sia sempre più bigotta anche in fatto di gusti letterari?

Sui gusti letterari non saprei. Per il resto mi pare che siamo sempre abbastanza medievali.

Nei tuoi tre libri le diverse trame si intrecciano in modo fitto. Fai parte di quegli scrittori che si siedono a tavolino e costruiscono per filo e per segno personaggi e trame o viceversa, ti fai condurre da loro nella scrittura?

Di solito comincio da un ambiente che conosco, e ho in testa qualche snodo della trama, due o tre scene essenziali. Ma sono i personaggi a dare il tono alla storia. Li scelgo, li curo, e sono contento se alla fine ci si ricorda di loro più che dell’intreccio. A volte possono prendermi la mano, e dire o fare cose che mi lasciano interdetto. Ma in generale sanno che il padrone sono io, e non esagerano.

Se tu avessi voluto affondar il coltello nel dramma sociale della precarietà della vita di fabbrica, le dichiarazioni di Marchionne, le proteste del mondo operaio e la recessione imperante ti avrebbero fatto buon gioco. Il successo e le polemiche che hanno suscitato il libro della Avallone ne sono un perfetto esempio. Piuttosto che schierarti hai mantenuto un tono agrodolce, narrativo più che di denuncia sociale. Come mai?

Beh, perché scrivo romanzi e non saggi. E le polemiche di solito mi annoiano. Poi ho idee anche piuttosto nette, ma non mi va di buttarle in narrativa. Hitchcock diceva di non filmare pezzi di vita, ma pezzi di torta. Credo che sia ancora il modo migliore per provare a raccontare qualunque cosa.

Per uno scrittore quanto è importante, oggi, lo spazio sui social network e sui blog? Il tuo blog, “trabucco”, com’è nato?

E’ nato abbastanza per caso, solo dopo ho scoperto che mi piaceva scriverci. Quanto ai social network, probabilmente sono importanti, ma non fanno per me. Mi trovo bene nelle comunità piccole, anzi a volte mi soffocano anche quelle.

Sul blog citi Dorothy Parker: -Io sono quel dannato tipo di persona che scrive a fatica sette parole e ne cancella cinque-. Dunque cos’è per te la scrittura? Un lavoro artigianale oppure scrivi alla Breton, in modo quasi automatico?

E’ un lavoro artigianale, ogni tanto una maledizione, e nelle giornate buone un motivo sufficiente per stare al mondo. No, non scrivo in modo automatico, tutt’altro. Quella frase di Dorothy Parker è proprio giusta per me. Comunque sto facendo progressi: adesso prima di cancellare cinque parole riesco anche a scriverne dieci.

Un luogo comune molto in voga afferma che in Italia ci sono più scrittori che lettori. Ma visto che nessuno accetta il rifiuto editoriale, come testimonia il successo degli editori/tipografi, che futuro (pre)vedi per l’editoria?

Non ne ho idea. Magari è vero che si pubblicano troppi libri, ma sono convinto che le belle storie non smetteranno di essere scritte, perciò forse il futuro è di chi avrà voglia di cercarle, piccolo o grande editore che sia.

Attualmente stai lavorando al tuo quarto romanzo? Puoi anticiparci qualcosa?

Il quarto romanzo l’ho finito da un po’ e spedito a diversi editori. Spero che qualcuno lo stia leggendo. E’ ambientato nella scuola, ma non c’è niente di educativo o sociologico, tipo Mastrocola. E’ più cinico e sentimentale alla Chandler, con un protagonista faccia di bronzo e una dark lady di quattro anni (adesso che mi ci fai pensare, avrebbe anche potuto chiamarsi “Il lungo addio”. Peccato che mi abbia fregato il titolo 60 anni fa).

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