Al Teatro di Messina “Una Compagnia di Pazzi” in difesa della dignità umana

Al Teatro di Messina “Una Compagnia di Pazzi” in difesa della dignità umana

Emanuela Giorgianni

Al Teatro di Messina “Una Compagnia di Pazzi” in difesa della dignità umana

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mercoledì 05 Aprile 2023 - 11:30

Dopo il successo di “Minchia Signor Tenente”, il nuovo lavoro della compagnia di Antonio Grosso

1945. In un manicomio dismesso, i soli tre pazienti ricoverati, e i due infermieri che si prendono cura di loro, sembrano svolgere le loro vite tranquilli, lontani da quella guerra che dilania l’umanità fuori dalle loro mura, come se intorno ad essi non rimbombasse il dolore dei suoi massacri.

Il rapporto creatosi tra gli infermieri e i loro pazienti fa sì che le giornate passino serene, tra scherzi, giochi e risate. A turbarle sono soltanto le visite del burbero direttore del manicomio, uomo cinico e privo di umanità.

Nel suo ufficio, i pazienti troveranno una cassaforte, la cui scoperta cambierà ogni cosa. I cinque protagonisti cercheranno di aprirla, rubare il bottino e iniziare una nuova vita. Nel frattempo, però, l’avanzata delle truppe tedesche si farà sempre più vicina… 

Una compagnia di Pazzi

Dopo il successo di “Minchia Signor Tenente”, con oltre 500 repliche in tutta Italia, la compagnia di Antonio Grosso ritorna con un nuovo spettacolo. Arriva, infatti, al Teatro Vittorio Emanuele di Messina, “Una Compagnia di Pazzi”, scritto e diretto da Antonio Grosso, con Antonello Pascale, Francesco Nannarelli, Gioele Rotini, Gaspare di Stefano e Natale Russo, per una produzione Alt Academy.

I protagonisti

In uno spazio scenico dimesso e fatiscente, quello del manicomio, i personaggi ci vengono presentati con schiettezza e ironia. I loro tratti comportamentali esasperati e le loro manie fanno sorridere, portando, però, sul palco, la propria verità.

I tre “pazzi” sono: Gaspare di Stefano nel ruolo di Umberto. Di Stefano ci guida nella storia del suo personaggio – utilizzando anche la musica come strumento narrativo – tra apici di comicità e momenti di pura sincerità.

Natale Russo è Natalì, in un’ulteriore grande prova d’attore. Natalì si esprime spesso attraverso parole dialettali, versi difficilmente comprensibili, presenta manie e paure in maniera unica, trasparente e d’impatto.

Spicca, poi, l’interpretazione di Gioele Rotini nel suo Benni, un ragazzo ossessionato dalla pulizia, abbandonato in manicomio sin da bambino. Rotini è incredibile nella sua ossessività compulsiva, nei suoi sguardi persi, nella sua follia cui aggiunge tanta tenerezza.

Antonio Grosso e Antonello Pascale interpretano i fratelli Francesco e Armando, i due infermieri che con amore e dedizione si occupano del manicomio. È forte la loro complicità e l’affidamento reciproco con cui portano in scena due caratteri così vicini ma al tempo stesso così differenti.

Francesco Nannarelli, infine, è impeccabile nei panni del cattivo, il suo Direttore canalizza tutte le antipatie e il disprezzo del pubblico, per poi sorprenderlo con un colpo di scena inimmaginabile.

L’interpretazione degli attori, forte, sincera e dall’armonica coralità, si conferma la cifra distintiva della compagnia in uno spettacolo dalla grande potenzialità che, però, forse, non riesce a raggiungere il precedente successo.

Dignità umana

“Una compagnia di pazzi” si sviluppa su tematiche importanti, su ideali fondamentali che sceglie con coraggio di difendere. Immersa in un contesto cronologico come quello della Seconda Guerra Mondiale, la pièce riflette sulla follia di chi è ritenuto pazzo, mostrandone la reale saggezza in confronto ad una ben più gravosamente folle violenza. La riflessione sulla follia diviene un mezzo per raggiungerne una ancora più essenziale: quella sulla dignità umana.

Lo spettacolo vuole ergersi come inno alla libertà e alla dignità degli uomini; la drammaturgia non riesce in pieno, però, a realizzare concretamente questo intento ideologico.

Ho percepito il valore delle tematiche trattate e il desiderio attento di affrontarle sempre con leggerezza, però non sono riuscita ad addentrarmi a pieno nella loro profondità, sono rimasta in superficie, le ho vissute come input giustapposti gli uni agli altri ma mancanti di un legame di continuità o processualità.

Anche il finale, emozionante, intenso, grandiosamente doloroso, sopraggiunge in tutta la sua bellezza ma non è sostenuto da un percorso di comprensione adeguato a fare esplodere il suo sentire nel pubblico.

Linguaggio a più voci

Dove non arriva il testo, però, arrivano, in un linguaggio a più voci, la musica, le luci, l’estetica degli abiti.

Gli infermieri e i loro pazienti indossano abiti malridotti, logori e sgualciti in netta opposizione all’eleganza di quelli del Direttore.

Le luci evidenziano i momenti, incorniciano le emozioni, che la musica amplifica e fa risuonare in ciascuno di noi, con le sue melodie (cronologicamente estranee al tempo della narrazione ma vicine per comune sentire). Da “(I’ve had) The time of my life” dal film Dirty Dancing (che Umberto e Benni danzano insieme) a “What a wonderful world” di Louis Armstrong.

Solo ai suoni spetta, poi, il compito di portare in scena il mondo fuori; sentiamo l’improvviso sopraggiungere dei soldati, le loro voci, il rumore degli spari. Ci colpiscono, fanno sobbalzare, agitano, spaventano e sconvolgono pur senza vederli.

“Nazionale-popolare”

Tra le tante musiche che raccontano la storia vi è, poi, “L’italiano” di Toto Cutugno. “Una compagnia di pazzi”, infatti, afferma Grosso: “è uno spettacolo nazionale-popolare”. Non nel senso pregiudiziale attribuito al termine nazionalpopolare, ma nel suo valore gramscianamente estetico, nella sua artisticità: vuole esprimere i tratti distintivi di un popolo, il nostro, delle sue aspirazioni, della sua identità e si rivolge a quel popolo nella sua interezza. È uno spettacolo che, indipendentemente dalle differenze che ci caratterizzano (personali, culturali, sociali o temporali), vuole parlare di tutti noi e a ciascuno di noi; mostrare come vivono e “come muoiono gli italiani”; in un viaggio tra le sfaccettature del nostro essere uomini, tra dialetti diversi, tratti caratteriali così vari, umanità complesse e ricche di sentimenti.

Dopo gli applausi, Grosso dedica il suo lavoro a Mahsa Amini, la ragazza iraniana uccisa per aver indossato l’hijab in modo sbagliato. Il suo spettacolo, ribadisce, vuole essere prima di tutto una difesa della libertà.


scritto da Antonio Grosso

con Antonio Grosso, Antonello Pascale, Francesco Nannarelli, Gioele Rotini, Gaspare di Stefano e con Natale Russo

scene e costumi Alessandra De Angelis
light designer Luigi Ascione

aiuto regia Giuseppe Menzo
assistente alla regia Marika Mengucci
audio/luci Beatrice Mitruccio

voice over Silvano Plank
foto di scena Tommaso Le Pera

regia Antonio Grosso

produzione ALT Accademy

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