La libertà di espressione è una cosa seria
Per carità, basta! Basta scoprire a ogni piè sospinto quello che tutto il mondo sa benissimo da secoli. La polemica su Roy Paci e sulla liceità o sull’opportunità di dire quello che ha detto – No al Ponte – e fare quello che ha fatto – vieni, Accorinti, a dire la tua – ci sembra la diatriba medievale sull’anima delle donne.
Una stucchevole disputa su cui non vale proprio la pena accalorarsi perché è stato già detto tutto e nessuno può dire nulla di originale e di nuovo.
Se affrontiamo l’argomento come se fosse la prima volta e pensiamo di poter dire grandi verità non faremo mai un passo avanti.
Libertà di parola … lobotomizzazione delle masse … tutto è politica … era pagato per suonare e non per fare comizi … bisognava dare la parola anche a chi la pensa diversamente … ci manca il valore catartico della musica e cadiamo nel ridicolo.
Tutti concetti importanti assolutamente sprecati in quest’occasione.
Come se, per meditare sulla famiglia in epoca moderna si debba necessariamente passare attraverso qualche puntata de I Cesaroni.
A meno di non trovarsi per la prima volta di fronte a tali grandi temi.
Il che sarebbe ancora più grave, ma non possiamo crederci
Coloro che vogliono approfondire il valore, i limiti e le garanzie che, in una democrazia liberale moderna, possono essere dati alla libertà di manifestare il proprio pensiero hanno ben altri modi per farlo, senza limitarsi a confrontare le proprie istintive e legittime convinzioni con i luoghi comuni raccolti lungo i viali della Fiera.
Sennò non faranno mai un passo avanti e, alla prossima occasione – chiamala Celentano o Benigni, Vasco Rossi o Gennaro Apicella, ricominceranno d’accapo senza arrivare mai a un punto fermo, meditato.
C’è spazio per tutte le convinzioni, purché culturalmente solide.
Platone e Stuart Mill hanno scritto pagine splendide sulla libertà di espressione, eppure la pensavano in modo … molto diverso.
Con tutto il rispetto, non crediamo che Roy Paci e Fabio D’Amore possano dire qualcosa in più di Socrate e Jefferson, passando per Giordano Bruno e Voltaire.
Ma, senza toccare i giganti del pensiero, ci piace ricordare che solo 41 anni fa, Tommy -Jet- Smith e John Carlos – primo e terzo nei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico – alzarono il pugno guantato di nero durante l’esecuzione dell’inno americano per affermare il Black Power e protestare contro la guerra del Viet Nam.
Furono privati delle medaglie, cacciati dal villaggio olimpico e la loro carriera sportiva terminò quel giorno. Altri tempi, ma anche … altro che le banali intemperanze di Roy Paci e la dura reprimenda di Fabio D’Amore!
Riguardo all’episodio della Fiera, infine, diamogli il giusto (poco significativo) valore, senza scomodare nobili concetti che trasudano secoli di pensiero e gocce di sangue: si tratta solo di una semplice questione contrattuale.
