musica

La Nona Sinfonia Corale conclude la maratona Beethoveniana a Taormina

Non poteva che concludersi con la Nona Sinfonia il Progetto Beethoven, una maratona musicale dedicata ai principali capolavori sinfonici del grande compositore tedesco, del quale anche Taormina ha voluto celebrarne il 250° anniversario della nascita, nonostante le molteplici difficoltà derivanti dalle rigide misure anti Covid.

Il 24 luglio u.s., infatti, è andata in scena, al Teatro Antico, l’ultima e più celebre delle sue sinfonie, la n. 9 “Corale”, in re minore, op. 125.

La Corale rappresenta, più che l’epilogo della sua parabola compositiva nel campo sinfonico, la prima e unica manifestazione per grande orchestra di quello che viene spesso definito il terzo periodo compositivo di Beethoven, l’ultima fase della sua esistenza durante la quale, già completamente sordo, il grande maestro si avventura in terreni artistici allora impensabili, sperimentazioni sonore, dove gradualmente viene abbandonata la forma sonata in favore di altre, come, ad es., l’arte della variazione, portata alle sue estreme raffinatezze, o la rielaborazione della fuga barocca in chiave drammatica. Nella più celebre e amata delle sue sinfonie, tutto è monumentale, ogni movimento, allegro o adagio che sia, viene portato alle estreme vette musicali.

Il primo movimento – Allegro ma non troppo, un poco maestoso – inizia su un tremolo di archi con sottofondo dei corni, una materia sonora dalla quale a poco a poco emerge il tema dominante, che si afferma con tragica violenza nella tonalità di re minore. Questo straordinario incipit, unico in tutta la produzione sinfonica beethoveniana, fu sicuramente tenuto presente da Wagner, nell’incipit dell’Oro del Reno, inizio della sua tetralogia. Il primo movimento è basato su temi presentati a gruppi, uno splendido affresco sonoro, ove si alternano elementi tragici, violenti, ad altri pastorali e sereni, ritmo, contrappunto, e quella sorta di marcia funebre finale che sembra portare con sé tutte le sciagure del mondo, fino alla tragica riaffermazione del tema dominante in re minore.

Trattandosi di un allegro che somiglia molto ad un andante, il genio di Bonn ha intuito che, per contrasto, il brano doveva essere seguito da un presto anziché dall’usuale andante o adagio, per cui il movimento lento viene collocato al terzo tempo.

Come secondo movimento Beethoven colloca un “Molto vivace”, uno Scherzo dal ritmo irresistibile e dallo spirito dionisiaco, reso celebre anche in cinematografia (come non citare “Arancia meccanica di Stanley Kubrick?) segue il meraviglioso “Adagio molto e cantabile”, una sublime preghiera, basata su uno dei temi più dolci e commoventi mi composti dal musicista tedesco, che, attraverso uno sviluppo che sembra non debba finire mai, ci eleva alle massime altezze spirituali.

Dopo un simile brano la sinfonia, per mantenersi a tale eccelso livello, non poteva che concludersi con un elemento di rottura. Già da parecchio tempo Beethoven aveva manifestato la volontà di musicare i versi di Schiller “An die Freude” (Alla gioia); per Beethoven introdurre nelle sinfonie l’elemento vocale, il coro e i solisti, rappresentava una rivoluzione assoluta, staccarsi da tutta la sua poetica sinfonica sino ad allora perseguita. Dopo aver suonato cenni dei movimenti precedenti, l’orchestra finalmente prima in sordino, poi in crescendo, intona il famosissimo tema dell’inno alla gioia, con una splendida arte della variazione. Il tema verrà ripreso poi dai cantanti, in alternanza con il coro, si ascolta il tema variato in forma di marcia, fugato, si alternano momenti irruenti ad altri gravi e solenni. Se forse dal punto di vista strettamente estetico musicale il movimento non possiede la stessa perfezione formale dei precedenti, e in alcuni punti denota qualche forzatura, come, ovviamente, nei momenti vocali, nel complesso l’impressione di grandezza, la bellezza del tema, la grandissima arte della variazione, la monumentalità dell’impianto, la sensazione infine di lascito universale all’umanità di Ludwig Van Beethoven, rendono il brano impressionante ed indimenticabile.

Precisa la direzione di Diego Matheuz, assai intensa in particolare nell’Adagio, molto equilibrata nei tempi, indicati in maniera dettagliata da Beethoven (emblematica l’indicazione del primo movimento “Allegro ma non troppo, un poco maestoso”), seguito da un’orchestra, – Orchestra Sinfonica Siciliana – davvero diligentemente; qualche leggera imperfezione nei fiati, ma nel complesso una dignitosissima esecuzione. Sempre in continua ascesa il Coro Lirico Siciliano, grande protagonista dell’ultimo movimento, insieme alle voci di ottimi solisti – Maria Pia Piscitelli soprano, Laura Verrecchia mezzosoprano, Antonio Poli tenore e Carlo Cigni basso – in una partitura che all’epoca fu considerata quasi ineseguibile per la sua difficoltà.

In un Teatro senza platea, senza tribunetta, con un distanziamento sociale rigoroso nella cavea numerata, (oltre la misurazione della temperatura con il termo scanner) – misure imposte dalle normative anti-Covid, che hanno però prodotto una più che significativa riduzione del pubblico – quando ho osservato le sedie dei coristi anch’esse distanziate, ho concluso che la musica, grazie alla resilienza dell’uomo, è comunque ripartita. In fondo Beethoven, musicando l’Ode di Schiller, ha lasciato ai posteri un potente messaggio illuminista, una sconfinata fiducia nell’uomo, con quel suo Bacio al mondo intero “Diesen Kuss der ganzen Welt!”. Celebrarne l’anniversario, a dispetto di condizioni così avverse e difficili, è stato uno splendido modo per ringraziarlo e rendergli omaggio.