Messina, radiologo si ammala di leucemia in reparto, Inail condannata

Messina, radiologo si ammala di leucemia in reparto, Inail condannata

Alessandra Serio

Messina, radiologo si ammala di leucemia in reparto, Inail condannata

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sabato 29 Giugno 2019 - 11:12

Il reparto non era sicuro anche prima del 2014, quando il Policlinico adotta le cautele per i dipendenti. Ma l'Inail non voleva pagare

Un medico del reparto Ortopedia del Policlinico di Messina nel 2016 ha scoperto di essere ammalato di leucemia. Nessun dubbio, secondo i suoi colleghi che lo avevano in cura, che avesse contratto la malattia svolgendo il servizio in reparto, sottoposto a radiazioni. Nel 2014, infatti, l’azienda sanitaria aveva adottato delle prescrizioni e sistemi di tutela per i medici. Ma negli anni precedenti nessuno dei dipendenti aveva avuto tutela.

L’Inail nega il risarcimento

Dopo 25 anni di servizio e la malattia, l‘Inail non ha voluto riconoscere al chirurgo il risarcimento. Il dirigente medico, che ha svolto in reparto una media di 150 interventi l’anno, ha fatto ricorso assistito dall’avvocato Santi Delia e il Tribunale gli ha dato ragione.


Sino al 2014 l’Azienda non aveva classificato il reparto come soggetto a rischio radiologico. Per questa ragione tutti i dipendenti dello stesso, sino ad allora, non hanno fruito delle “protezioni di legge” dedicate ai lavoratori che agiscono in tali contesti a rischio.

Si tratta, in particolare, oltre ai riconoscimenti economici, del congedo biologico, della sorveglianza dosimetrica e delle visite periodiche di controllo previste per il personale medico e tecnico di radiologia per il quale sussiste una presunzione assoluta di esposizione a rischio. Per evitare che l’organismo subisca gli effetti devastanti delle radiazioni, è imposto un congedo di ulteriori 15 giorni utili ad imporre l’allontanamento del lavoratore dai locali e dagli strumenti potenzialmente pericolosi così da “disintossicarlo”

Finalmente la protezione del rischio

Dopo quasi 25 anni senza riconoscimento del reparto come tutelato tra quelli “a rischio radiologico”, nel 2016 l’Azienda forniva ai dipendenti strumenti (guanti, occhiali, giubbotti di protezione) volti alla protezione dal rischio radiologico cui erano esposti e classificava il reparto tra quelli beneficiari del “rischio radiologico”.

Un medico si ammala di leucemia

Uno dei medici del reparto, proprio nel 2016, inizia a soffrire di sintomi di astenia e diminuzione di resistenza allo sforzo fisico. Sottoponendosi ad esami ematochimici, gli venivano diagnosticati anemia, leucocitosi e piastrinopenia. In seguito appura di essere affetto da “leucemia acuta mieloide megacarioblastica” che è una rara forma di leucemia.


Peraltro, trattandosi di un soggetto che mai aveva sofferto di antecedenti morbosi o traumatici di rilievo, risultava palese che la sua salute si fosse aggravata proprio a causa delle condizioni insalubri in cui doveva esercitare la propria attività professionale.  
Ma, l’avere contratto una leucemia dopo 25 anni di esposizione alle radiazioni non era sufficiente per l’INAIL che, negava recisamente il riconoscimento della malattia professionale e della relativa rendita.

L’Inail condannata a pagare

L’Avvocato Santi Delia ha impugnao il diniego dell’Inail secondo cui la patologia sofferta dal medico non poteva dirsi affatto dipendente da causa di servizio. In giudizio la consulenza tecnica disposta dal Presidente del Tribunale Laura Romeo, smentendo la ricostruzione dell’Istituto nazionale di assistenza per gli infortuni sul lavoro, ha confermato quanto chiarito dal medico di parte Giovanni Andò, tanto che, a conclusione dello stesso, l’Inail veniva condannato a riconoscere al ricorrente la malattia professionale nella misura del 60% ed a corrispondere tutti i ratei pregressi.

Secondo il Tribunale “a seguito di attenta ed accurata indagine”, da parte del C.T.U. e sulla base della copiosa documentazione in atti, non vi è dubbio “che tale patologia, riscontrata al periziato nel gennaio 2016, è ricollegabile ad un rischio lavorativo, emergente quale noxa patogena concasualmente valida, con alto grado di probabilità, a determinare l’insorgenza della patologia neoplastica. Ha, dunque, concluso ritenendo che l’infermità in oggetto è da riconoscere malattia professionale”.

“Si tratta”,commenta l’Avvocato Santi Delia, “di una sentenza che mira a fare da apripista a numerosi altri casi in Italia. Sono numerose, difatti, le Aziende sanitarie che continuano a non adeguare i propri standard di taluni reparti alle normative europee (e non solo interne) a tutela dei lavoratori. Prima ancora che talune Aziende, difatti, è l’Italia ad essere in ritardo nell’aggiornamento degli standards di sicurezza. La Commissione europea, difatti, ad inizio 2019, ha inviato all’Italia un parere motivato (il secondo stadio della procedura di infrazione) per chiedere al nostro Paese di trasporre nel proprio ordinamento le nuove norme previste dalla direttiva Ue sugli standard basilari di sicurezza, che modernizza la legislazione europea in materia di protezione dalle radiazioni. La direttiva, che avrebbe dovuto essere tradotta in legge entro lo scorso 6 febbraio, delinea standard basilari di sicurezza per proteggere lavoratori, utenti e pazienti dai pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, usate a scopi medici, ma anche industriali. Tali interventi, seppur oggi tardivi per taluno come il mio assistito nel caso trattato, possono salvare la vita a molti altri in futuro”

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