Messina e la Sicilia tra miti ed eroi

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Messina e la Sicilia tra miti ed eroi

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domenica 01 Dicembre 2019 - 07:45

La tradizione storica dello Stretto di Messina, un contenitore di memorie che sconfinano spesso e volentieri nel sogno

Da sempre sulla Sicilia aleggia l’ombra dei miti. Si mescola alla storia, intrecciandosi tanto fittamente con la realtà da diventarne una sorta di “doppio”. In una terra dove la metafora domina sul resto, qualsiasi realtà diviene simbolo del mito e viceversa, potenza dell’ossimoricità siciliana.

Ricordo una conversazione di qualche anno fa con Peppino Leone, un grande della fotografia siciliana amico e sodale di Sciascia, Bufalino e Consolo. Lamentavo con lui l’assenza, nella mia città – Messina – di una solida tradizione storico-architettonica, a mio giudizio cancellata dalle catastrofi naturali e belliche che l’avevano progressivamente privata dei suoi principali riferimenti culturali. Al che Leone, divertito e meravigliato, obiettò che quella tradizione sopravviveva ancora in quel breve braccio di mare che separa la Sicilia dal continente: lo Stretto.

Lo Stretto, sì. Un istmo al quale non badiamo quanto dovremmo, forse perché l’abbiamo davanti agli occhi ogni giorno. Un contenitore di memorie che sconfinano spesso e volentieri nel sogno. O, per meglio dire, nel miraggio di cui è emblema il fenomeno della fatamorgana. Cos’è, infatti, la fatamorgana se non lo specchiarsi della realtà nell’altro da sé, in quella sua parte irreale che tuttavia non avrebbe alcuna consistenza se a sostenerla non ci fosse proprio la realtà dalla quale essa ha preso origine? E tutto questo si accorda anche con il mito di Risa – la città immaginaria di cui ha recentemente scritto Michele Ainis – una sorta di Messina al contrario, un rovescio di sé elegantemente raffigurato con le parvenze di un sogno.

“Un sogno fatto in Sicilia” – come ancora il Maestro di Racalmuto ci suggerisce – è la panoplia di leggende che infiorano le azzurre acque dello Stretto, il mare d’Ulisse che, facendo rotta verso Itaca, vi compì un ardito attraversamento infestato dalle maliarde Sirene e dai gorghi impetuosi di Scilla e Cariddi.

“Omero è stato qui” titola Nadia Terranova una sua recente pubblicazione che narra un rosario di miti risalente ai tempi più remoti, quelli, per intenderci, che Esiodo ha descritto nella sua “Teogonia”. E non ha torto. Il più grande Aedo della classicità non poteva non aver spiegato le vele sulle onde del “Bosforo d’Italia”, come lo chiameranno, molti secoli dopo, Edoardo Giacomo Boner e Salvatore Quasimodo cogliendone l’analogia con il canale che attraversava l’antica Costantinopoli. Omero è stato qui, non c’è dubbio; con lo sguardo profondo del non vedente e con il cuore pulsante del poeta, egli ha inventato un mondo che non poteva riconoscere attraverso gli occhi, ma che gli è entrato direttamente nell’anima dando fuoco alla sua ispirazione.

E come non associare, a quella del mito, la figura dell’eroe? Eroe come proiezione delle più elevate virtù dell’uomo, espressione del coraggio di vivere sacrificandosi, se è il caso, per il bene e la salvezza degli altri.

Come ci insegna, peraltro, il mito di Colapesce, mirabile fusione tra immaginario popolare e scienza. Cos’è la leggenda dell’uomo-pesce se non il tentativo di spiegare quei particolari fenomeni naturali che prendono il nome di sommovimenti tellurici, così comuni dalle nostre parti? La colonna che sorregge capo Peloro è instabile da sempre, ed è soltanto grazie all’impegno eroico di un povero pescatore che questo lembo di Trinacria non è ancora sprofondato negli abissi. Succede però, a volte, che l’eccessivo carico faccia vacillare Cola, ed ecco che la terra soprastante comincia a vibrare pericolosamente, ecco arrivare i terremoti.

L’ultimo, il più disastroso. Che sorprende centomila messinesi nel sonno, cambiando in pochi secondi la loro esistenza. Scene di ordinaria follia sono quelle dei superstiti che si aggirano a gruppi sparuti per le rovine della città annientata, divorata dagli incendi che si moltiplicano, frustata da una pioggia gelida e battente che non dà requie.

Dove sono finiti i tuoi miti, Messina? Sembrano chiedersi, inebetiti, quei superstiti. Quale futuro potrà più esserci per noi dopo quest’ecatombe? Intorno non c’è altro che lutto e distruzione. Ben presto la città potrebbe essere rasa al suolo per decisione del governo centrale, uno stuolo di calce sarà chiamato a ricoprire definitivamente l’immensa necropoli che è diventata.

Sono passati più di cent’anni, e la storia di Messina continua. Come continua quella della Sicilia, il “divino triangolo” (lo definì Pitagora) che racchiude ancora tanti affascinanti misteri. Uno di questi, forse il più intrigante, consiste nella straordinaria forza dei siciliani di ricostruirsi. Eppure, essi navigano da millenni su una precaria “arca di sasso” (come l’ha chiamata Bufalino) soggetta alle tempeste e pronta a rovesciarsi da un momento all’altro.

I siciliani non temono quest’evenienza, perché sanno che possono sempre contare sui propri eroi. Su quegli uomini di tutti i giorni i quali, in silenzio, lontani dai riflettori, ricuciono pazientemente la tela smagliata dei loro sogni. A dar loro forza è l’amore per la propria terra che, malgrado ogni distruzione, è riuscita finora non solo a mantenersi a galla ma a continuare a brillare come un faro di bellezza nel mondo.

E non è forse questo il più bel mito che abbia mai abitato la terra di Sicilia fin dalla notte dei tempi?

(Giuseppe Ruggeri)

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