Una storia senza nome, le scatole cinesi di Roberto Andò

La “Natività del Caravaggio, trafugata dal palermitano Oratorio di San Lorenzo nel 1969, e per tutto questo tempo non ritrovata, è la vera protagonista di questo lungometraggio- da ultimo già programmato presso il Multisala Apollo- ove il filmmaker Roberto Andò si cimenta in una sorta di scatole cinesi, immaginando che, proprio per mezzo della settima arte, si possa tentare di disvelare il mistero che aleggia intorno al dipinto.

La protagonista, Valeria, una Micaela Ramazzotti ben in parte, è attraversata, nel percorso filmico, da una radicale trasformazione: da impacciata segretaria di uno studio di produzione cinematografica e in incognito anche ghostwriter, innamorata persa di uno sceneggiatore (un buon Alessandro Gassmann) che utilizza il suo nome e ottiene grandi successi (non solo professionali, ma, a catena, anche nei rapporti con l’altro sesso) a donna più sicura, meno irrisolta sentimentalmente e più realizzata anche nel suo lavoro di scrittrice, che viene alla luce.

Personaggio chiave è un misterioso poliziotto in pensione, ben reso da Renato Carpentieri, che dona a Valeria uno script, incentrato sul furto della Natività; dalla sceneggiatura, che riscuote ammirazione, si decide di trarre un lungometraggio affidato alla regia di Jerzy Kunz, apolide, interpretato magnificamente dal regista e attore Jerzy Skolinowski.

Durante le riprese emergono però segreti, paure e ricatti, con contraccolpi sull’esistenza di Valeria, della madre, un’ottima Laura Morante,e non solo… L’ambientazione è siciliana, a iniziare da quell’oratorio gioiello – quello di San Lorenzo, appunto – con gli stucchi del Serpotta, e i putti barocchi. La splendida copia della Natività, tecnologicamente ricostruita, esposta sull’altare del sito, è servita effettivamente per le riprese. Il tono del film, volutamente leggero, non convince.

I bravi interpreti siciliani, Gaetano Bruno, Filippo Luna e Giovanni Martorana, completano degnamente il cast, che è la parte buona dell’opera filmica .Il soggetto, la sceneggiatura, il montaggio, convincono invece meno. La fantasia non basta proprio, insomma, a risarcirci dell’immensa perdita reale, né a colmare i vuoti della realtà, forse più che una storia senza nome, questa storia contorta e a tratti lacunosa potrebbe definirsi una storia… “senza storia”.