Cronaca

Museo di Messina, personale Asu in protesta: “Trattati senza dignità” VIDEO

MESSINA. Lavoratori precari da venticinque, con gli stessi doveri di un impiegato regionale ma con “pochi diritti riconosciuti, senza contratto, un sussidio al posto del salario e zero contributi”, come hanno dichiarato. Una delle troppe storie di precariato, con protagonista la Regione. Questa mattina i lavoratori Asu hanno protestato di fronte il Museo regionale di Messina (MuMe), loro sede di lavoro.

“Lavorano per 20 ore settimanali, sabato e domenica compresi, in centinaia nei musei, nei siti archeologici, tra l’altro fondamentali per assicurare apertura e fruizione in tutte le strutture alle dipendenze dell’assessorato regionale ai Beni culturali. Senza contratto e senza contributi, con un sussidio invivibile al posto dello stipendio”: così Vincenzo Capomolla, di Sgb, Sindacato generale di base, che ancora una volta organizza la protesta e che aggiunge: “Una situazione insostenibile da quasi 25 anni. L’incredibile è che protagonista del trattamento sia la Regione, proprio chi dovrebbe essere in prima linea e dare l’esempio. Ed invece…”, .

Integrazione salariale mai pagata

“Da settembre hanno avuto integrazione oraria a 36 ore settimanali. Dopo quasi 25 anni e solo fino a dicembre. Situazione? La Regione non ha ancora pagato, e tra un mese è previsto già lo stop: da gennaio si ritorna alla situazione di prima. Sempre in emergenza, sempre la precarietà come compagna e un salario non dignitoso. Basta”, continua. “Ecco perché siamo costretti ad andare ancora in piazza e non ci fermeremo, ecco perché abbiamo richiesto subito incontro ed intervento alla nuova assessora appena insediata, Elvira Amata”.

Quali le richieste? “25 giorni in questa situazione sono troppi, figurarsi 25 anni. E’ necessario assicurare continuità lavorativa e salariale, puntualità nei pagamenti, vivibilità e dignità salariale, a cominciare dalle 36 ore settimanali, evitando lo stop imminente a fine anno, e finalmente procedere alla contrattualizzazione e alla stabilizzazione. Sembra il minimo sindacale e lo è, sembra una chimera ma è solo il diritto al lavoro. Ed invece c’è una ferita lunga già 25 anni. Basta”.

“Una storia di ordinario sfruttamento”, conclude, “che fa il paio con le troppe in questo Paese ed in ogni settore, sempre di più e sempre peggiori, tanto da spingerci allo sciopero generale venerdì 2 dicembre con tutto il sindacalismo di base. Perché così non si può andare avanti”.