Case, immobili e condominio in pillole: la rubrica a cura di Confedilizia Messina
La rubrica a cura di Confedilizia Messina
Nei patrimoni degli italiani gli immobili contano meno ma non sono stati sostituiti da altre forme di ricchezza
Secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia, pubblicati il 28 gennaio scorso e riferiti al 2023, il valore degli immobili residenziali posseduti dagli italiani ammonta a 5.547,2 miliardi di euro: 241 miliardi in più rispetto alla fine del 2019. Possono sembrare molti, ma in realtà si tratta di appena 3,4 miliardi (0,06%) in più rispetto a 10 anni fa. Eppure in questi 10 anni i prezzi al consumo sono cresciuti del 18,6%, vuol dire che in termini reali il valore delle proprietà delle famiglie è sceso, e di molto. Non a caso la Banca d’Italia mostra anche come il peso percentuale di questi immobili nei nostri patrimoni sia diminuito al livello più basso mai toccato: il 45%. È un dato lontano da quello del 2011, quando in valore rappresentavano il 53,6% di tutta la ricchezza delle famiglie. Lo stesso destino è toccato agli immobili non residenziali, che valgono 678,3 miliardi, ovvero il 5,5% di tutta la ricchezza complessiva. Anche in questo caso la percentuale storicamente più bassa: nel 2011 rappresentavano il 7,2%. Sappiamo cosa è successo proprio quell’anno: l’introduzione di una tassazione punitiva sulla proprietà portò alla crescita del gettito dell’Ici dai 9 miliardi di euro del 2011 ai 23 miliardi del 2012, quando si chiamava ormai Imu.
Cresce il ricorso alle azioni e ai titoli
Il mattone è stato in parte sostituito da altri strumenti come gli investimenti finanziari che, nelle mani delle famiglie, sono arrivati a costituire il 46,2% di tutto il loro patrimonio: è un altro record, l’11,2% in più rispetto a quel fatidico 2011. In particolare a essere cresciuti non sono stati tanto i depositi o la liquidità, che, anzi, di recente hanno perso rilevanza, passando da un peso del 13,7% nel 2020 e nel 2021 a uno del 12,8% nel 2023, bensì le azioni e le partecipazioni. Queste ultime valgono ormai di più dei conti correnti: il 13,4% dei patrimoni, cioè 1.656,1 miliardi di euro, contro i 691,3 del 2011, quando costituivano solo il 6,5% della ricchezza privata. Gli altri asset finanziari consistono in quote di fondi comuni, che valgono il 5,9% dei patrimoni, in riserve assicurative l’8,8% e in titoli il 3,5%. Proprio quelli pubblici ultimamente hanno visto un ritorno di fiamma tra gli italiani, grazie all’aumento dei tassi d’interesse, al punto che la quota di Btp in mano alle famiglie, il 13,7%, è raddoppiata rispetto al 2019.
Ma i patrimoni delle famiglie sono cresciuti meno dei redditi e meno che negli altri Paesi
La sostituzione degli immobili con questi strumenti è stata parziale, si diceva, perché se guardiamo alle cifre complessive della ricchezza netta degli italiani, la loro crescita è stata deludente. Tra il 2013 e il 2023 è aumentata da 9.945,1 a 11.286 miliardi di euro, del 13,5%, cioè meno dell’inflazione. Non solo, il rapporto tra patrimoni delle famiglie e reddito disponibile è sceso da 8,2 ad 1 (8,2 euro di patrimonio per ogni euro di reddito), il dato più basso dal 2006, e sempre più lontano dal massimo di 8,9 ad 1 toccato tra il 2012 e il 2014. Questo, tra l’altro, è accaduto in un periodo in cui i redditi stessi non sono certo aumentati molto, ma, come si vede, i patrimoni hanno avuto un’evoluzione ancora peggiore. Peggiore anche di quella vista in altri Paesi occidentali che pure storicamente hanno dato meno peso al risparmio o all’acquisto di proprietà. In Germania, per esempio, in dieci anni la ricchezza delle famiglie è passata da un valore 5,5 volte superiore ai redditi a uno di 7,2 volte più alto. In Francia da 7,6 volte i redditi a 7,8, negli Stati Uniti tra il 2012 e il 2022 si è passati da patrimoni sei volte più grandi delle entrate a patrimoni otto volte maggiori. In termini pro capite la ricchezza degli italiani consiste in 191.100 euro a testa: sono meno dei 209.900 dei francesi, che invece fino al 2015 superavamo o dei 227mila dei tedeschi, che fino al 2017 avevano sempre avuto patrimoni più esigui. Ancora: i nostri 191.100 euro sono meno dei 268.100 dei canadesi, che ci hanno superato nel 2012, e naturalmente molti meno dei 444.100 (dati 2022) degli statunitensi.
La patrimoniale che c’è già, è l’erosione della ricchezza degli italiani
Questi numeri ci dicono che non ha pagato l’avere imposto, soprattutto in una fase di stagnazione economica, una tassazione punitiva verso la proprietà oltre a regole e vincoli che costituiscono veri e propri ostacoli. La svalutazione degli immobili non è stata compensata, come forse alcuni pensavano, da una crescita corrispondente del ricorso a strumenti finanziari, verso i quali molti italiani sono diffidenti. Il comportamento delle famiglie non segue necessariamente la teoria degli economisti, i privati cittadini non sono analisti finanziari pronti a vendere e comprare rapidamente azioni e immobili in base all’andamento dei mercati per ottimizzare i patrimoni. Ironicamente, nonostante tutto ciò, anche in questo momento si riparla di patrimoniali. Le patrimoniali in realtà sono già presenti e già pesano sugli italiani. Sono quelle visibili, come le tasse sugli immobili, e quelle invisibili, ovvero quel combinato disposto tra congiuntura economica e politiche ostili alla proprietà che sta già determinando, senza bisogno di nuove tasse, l’erosione della nostra ricchezza.
Come va comunicato il recesso del conduttore dal contratto ad uso abitativo?
Il recesso del conduttore dal contratto di locazione ad uso abitativo, ai sensi dell’art. 4 cpv l. n. 392/1978, va comunicato al locatore con lettera raccomandata o con altro mezzo equipollente comunque idoneo allo scopo, giacché l’onere formale della comunicazione a mezzo raccomandata non è previsto a pena di nullità del recesso.
I singoli condòmini, agendo congiuntamente, possono stipulare contratti relativi alla gestione e alla manutenzione delle parti comuni?
Non rileva ai fini dell’imputabilità del contratto (al condominio e non ai singoli condòmini) la circostanza che lo stesso non sia stato sottoscritto dall’amministratore del condominio, atteso che, svolgendo questi funzioni di rappresentanza dei condòmini, nulla esclude che gli stessi possano cumulativamente stipulare direttamente con terzi contratti inerenti alla gestione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio.(da Confedilizia Notizie)—
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