-Il PD partito di popolo e non di colonnelli: ci proviamo…?-

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mercoledì 25 Marzo 2009 - 23:59

Le riflessioni del deputato regionale del PD Roberto De Benedictis sul suo partito

Riceviamo e pubblichiamo

Più ci penso e più mi sembra che il principale difetto di questo nostro PD sia l’essere percepito – ed in effetti l’essere – un partito che si identifica solo con il suo ceto dirigente. Al di là della qualità di questo gruppo, della litigiosità o della sua capacità di proposta politica (tutt’altro che certa) può esistere un partito senza popolo? Prendiamo il caso della Sicilia, che conosciamo meglio (ma altrove è più o meno la stessa cosa): furono accordi di vertice quelli che stabilirono che le primarie dovevano essere finte, molti votanti per ratificare quello che pochissimi avevano deciso: Veltroni segretario nazionale (ma la maggioranza riconosceva comunque in lui il leader naturale) e Genovese segretario regionale; poi i coordinamenti provinciali, in cui si vide subito che la famosa terza gamba, quella della società civile, non c’era o era sostanzialmente cooptata dalle altre due; le liste per le regionali e le nazionali (soprattutto le ultime, imposte dall’alto); i circoli territoriali, quasi ovunque frutto di accordi a tavolino fra maggiorenti; la tela di Penelope dello Statuto regionale intrecciata al previsto congresso straordinario e perciò tessuta e disfatta e ancora ritessuta in funzione di quest’ultimo… Sono solo alcuni esempi ma potremmo continuare. Di questo partito si parla quasi solamente per le sue vicende interne ai gruppi dirigenti e in questi ultimi si parla di se stessi, quasi mai degli altri ed agli altri che sono all’esterno. Ancora meno dei loro problemi e delle nostre proposte politiche al riguardo. Dove è la gente in tutto questo, quella venuta a votare alle primarie del 14 ottobre? Può un partito così rappresentare un pezzo di società? E se non lo fa, che partito può mai essere? Più che fra ex-Ds ed ex-Margherita, mi pare che la divisione nel PD sia quella fra il suo ceto politico dirigente, che ha assorbito il partito in sé, e la gente che doveva farne parte e ne è rimasta fuori: un corpo deforme che si identifica con il suo macrocefalo, senza arti né altro. Il PD è stato concepito a tavolino dal ceto dirigente ex-DS ed ex-Margherita sulla base di un presupposto strategico più che culturale, pertanto l’assenza di una comune base di valori e programmi, nonché il prevalere di quel ceto dirigente sul suo stesso popolo, erano insiti nel suo atto di nascita. A colmare quest’ultimo gap dovevano servire le primarie: non ci sono riuscite.

Eppure tutti noi incontriamo ogni giorno persone che, sebbene deluse, sperano ancora nel PD e vogliono parteciparvi. E persino nelle fumose assemblee di partito e “direzioni” provinciali e regionali irrompe, fra tanti i tatticismi di capi, sottocapi e rispettivi accoliti, la voglia di molti di esserci, di contare e, soprattutto, parlare di politica nel senso di ciò che si può fare nel luogo in cui si vive per aiutare chi ne ha bisogno. Allora, facendo tesoro delle molte cose ascoltate, penso questo: le europee vadano come devono andare, faremo la nostra parte come potremo ma non mi appassionano liste che, ancora più che in altri casi, saranno imposte dall’alto; non passerà da lì il cambiamento del PD, né c’è tempo o assetto di partito che possa orientare diversamente la cosa. Ma la partita successiva, quella dei congressi di autunno, è quella strategica e siamo in tempo per giocarla bene. Prima fra tutte, quella del congresso regionale. Allora, perché non proviamo fin da adesso a incontrarci in ogni provincia e tessere una rete fra tutte le persone che in Sicilia si sono stancate di un PD fatto solo del suo ceto dirigente? Perché non facciamo in modo di far venire allo scoperto e aggregarsi tutte le persone che hanno sperato nel PD ma non a quello che hanno davanti gli occhi? Perché non proviamo a farle contare? Quante ne incontriamo tutti i giorni, nonostante tutto? E quante ce ne sono che non vediamo, che la pensano così ma non si espongono e magari aspettano l’occasione giusta per farlo? Nel frattempo il partito si trova nelle condizioni in cui sappiamo: può il cambiamento avvenire ad opera di chi lo ha guidato così finora? Può fare l’opposto di ciò che ha fatto? Non credo. Si tratta pertanto di provare a svincolare la vita ed il destino di questo partito da quello del suo attuale ceto dirigente, i cui interessi personali finiscono per essere scambiati con quelli generali. Anzi, spesso questi ultimi si piegano ai primi. Potremmo cominciare stimolando in ogni provincia (io nella mia, ciascuno nella sua e poi incontrarci assieme) dei gruppi intorno a cui riunirsi, con idee e propositi semplici, chiari, innovativi su ciò che deve essere e deve fare il PD in Sicilia. Potremmo usare internet per aggregare queste voci, per dare consapevolezza a questa forza che c’è e non si vede. Ma che c’è, ne sono sicuro. Come sono sicuro che è una forza ampia, trasversale a tutte le anime del PD, alle sue correnti: così deve essere. Penso infatti che si possa rimanere veltroniani, lettiani o dalemiani e tuttavia volere un partito di popolo e non di colonnelli: non ci interessa una nuova corrente ma andare oltre. Né confezionare un nuovo leader, quello verrà dopo: se c’è popolo e ci sono idee, sarà colui il quale le sosterrà meglio di altri. Che ne dite, ci proviamo?

Roberto De Benedictis

Deputato regionale PD

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