Politica

Risanamento Messina: la vittoria delle donne (e per di più tre sottovalutate)

Se oggi tutti cantano vittoria per un traguardo raggiunto dopo mezzo secolo e con un lavoro di squadra, è perché qualcuno ai nastri di partenza c’è voluto essere e la maratona se l’è fatta tutta fino alla fine, tra buche, transenne, pit stop, ritardi. E che sia stato un percorso ad ostacoli lo si capisce andando a rileggersi TUTTI gli articoli di un anno e mezzo.

Nomi e cognomi del traguardo

Questo traguardo ha nomi e cognomi e i nomi si declinano al femminile e questo va detto. A maggior ragione se sulle donne in questione nessuno avrebbe scommesso ed anzi sono state sottovalutate e spesso e volentieri denigrate. Dopo mezzo secolo di chiacchiere maschili tre donne: Matilde Siracusano, Mara Carfagna, Mariastella Gelmina (ebbene sì, le tanto vituperate berlusconiane) hanno fatto i fatti. E su questo non si discute.

La ministra Carfagna

Se abbiamo una legge, le risorse, un commissario di alto livello (peraltro donna, la prefetta Di Stani) e se lo abbiamo avuto in tempi rapidi rispetto ai biblici della nostra terra, lo dobbiamo a questa triade. A memoria di cronista negli ultimi decenni non c’è stata uguale attenzione da parte del governo nazionale ad un’emergenza messinese atavica. Non è mai accaduto che un ministro, insediatosi appena due mesi prima, abbia dato una risposta chiara, senza equivoci e rinvii, senza tentennamenti né tatticismi, come ha fatto Mara Carfagna (sì proprio lei, finita nel mirino di noi intellettuali pronti a sparare a zero sulla bella statuina di turno). Avrebbe potuto aspettare i tempi della politica. Non solo non l’ha fatto, ma ha anticipato persino i tempi e messo un punto alla stucchevole querelle su chi doveva essere il commissario.

Specchietti per allodole

Queste cose vanno dette in una città in cui le donne non hanno mai avuto il ruolo che meritano e sono state “utilizzate” dalla politica e dalla classe dirigente come specchietti per le allodole.

No allo stato d’emergenza

Riavvolgiamo il nastro indietro. Sul finire dell’ottobre 2018, si era nel governo Conte 1, la Protezione civile nazionale dice no alla dichiarazione dello stato d’emergenza per le baraccopoli messinesi. A richiederlo era stato il sindaco De Luca, appoggiato dal governatore Musumeci. A Roma però la sola idea che De Luca potesse apparire come colui che avrebbe potuto risolvere un’atavica criticità dello Stretto faceva accapponare la pelle a tutti, così il no della Protezione civile venne accolto senza opporre resistenza e con un gran sospiro di sollievo.

La deputata Siracusano

A fine novembre 2018 però, Matilde Siracusano presenta un pacchetto di emendamenti al bilancio 2019 ed al pluriennale 2019-2021 riguardanti il territorio di Messina. Uno di questi emendamenti è per lo stanziamento di 250 milioni da destinare al risanamento ed è la prima proposta di legge sul risanamento. Da quel momento Matilde Siracusano s’intesta la battaglia a Roma per portare risorse destinate ad eliminare le baraccopoli ancora in piedi. E’ al suo primo mandato, ha il bollino nero di essere berlusconiana, donna, bella, e voluta strenuamente da Miccichè che ha piazzato le sue pedine(io stessa negli articoli della campagna elettorale non le ho risparmiato critiche), ma si è messa al lavoro senza timidezze. Chiaramente a Roma, così come avvenuto per mezzo secolo, se ne fregano di Messina, figuriamoci poi delle baracche e men che mai se a chiedere attenzione sono quel furbacchione di De Luca e una deputata sconosciuta di Forza Italia.

La mostra sulle baracche

Così quando, all’inizio del 2020 Matilde Siracusano porta a Roma, a Montecitorio, la mostra sulle Baracche, appare quasi come un vezzo culturale-caritatevole al quale non prestare attenzione. Ed infatti ci furono politici messinesi che non andarono neanche a guardarla. L’inaugurazione è stata il 5 febbraio e chiunque si recasse a Montecitorio andava a sbattere il naso sulle nostre vergogne, che non siamo riusciti a cancellare nonostante le battaglie (inascoltate) di Pancrazio De Pasquale e i milioni di lire stanziati dall’allora presidente della Regione Rino Nicolosi, nel 1990 (anzi, quei soldi li abbiamo fatti marcire nei cassetti). Il senso della mostra era “se Maometto non va alla montagna la montagna va da Maometto”. Se nessuno a Roma vuol vedere le baracche gliele facciamo vedere noi.

La presidente Gelmini

E dieci giorni dopo l’inaugurazione della mostra a venire alla montagna di tetti in amianto è la presidente dei deputati alla Camera di Forza Italia Mariastella Gelmini che scopre che effettivamente sì, nel 2020, le baracche a Messina ci sono. Anche in quell’occasione non mancarono le ironie “scoprono adesso le baracche, arricciano il naso, la scoperta dell’acqua calda, ma dov’erano in questi anni?”. Matilde Siracusano è riuscita a portare nelle baracche Mariastella Gelmini, quelle stesse baracche che a scadenza periodica diventavano tema di campagna elettorale.

La legge speciale per Messina

Da quella visita nasce l’idea di una legge speciale per Messina, per riparare quel no alla dichiarazione dello stato d’emergenza. E’ Matilde Siracusano a predisporre per la seconda volta la proposta di legge (dopo quella del 2018) ed a portarla alla Camera per l’iter necessario a farla diventare legge. Anche Pietro Navarra presenta una proposta, che la stessa Siracusano dichiara di voler firmare. Ed anche Francesco D’Uva ne presenta una terza e così, da zero proposte dei decenni precedenti si arriva a 3 nel giro di un paio di settimane.

Percorso ad ostacoli

Ma il percorso della legge speciale sarà a dir poco accidentato e basta leggersi gli articoli che dal febbraio 2020 al maggio 2021 Tempostretto ha pubblicato. Quella proposta è rimasta impigliata in tempi biblici, strategie parlamentari, veti, audizioni fiume, insomma, da un lato vecchi vizi della politica, dall’altro un modo maschile d’intendere la politica molto meno pratico e più aduso alla tattica. Ad ogni rinvio, ad ogni ostacolo Matilde Siracusano protestava, interveniva in Aula, mandava comunicati stampa. Il ministro per il sud era il siciliano Giuseppe Provenzano e il governo era il Conte 2. La legge è rimasta ingabbiata per mesi e mesi in Commissione.

Il nodo del commissario

Questa è cronistoria. Ogni dichiarazione di Matilde Siracusano era condivisa da Mariastella Gelmini che sulle baracche di Messina non ha fatto passi indietro. Pomo della discordia, vero e proprio peccato originale era la figura del commissario, che tutti temevano fosse individuato nel sindaco che ne avrebbe fatto uso elettoralistico e che tutti volevano invece del proprio partito (esattamente per lo stesso motivo di De Luca). Il braccio di ferro, tipico di un modo d’intendere maschile, era su chi doveva mettere il cappello al commissario.

I fatti in due mesi

Arriviamo alla fine della storia. Con il governo Draghi entrano in squadra due ministre berlusconiane: Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. E che cosa accade in due mesi? Accade che, per la prima volta, si passa dagli annunci ai fatti. Semplicemente sono state consequenziali rispetto alle dichiarazioni. Avrebbero potuto aspettare altri mesi, del resto, c’è la pandemia. Invece no. Mara Carfagna ha sposato la causa ed ha risolto il nodo del commissario nel modo più naturale possibile: la prefetta, per evitare appetiti e tentazioni strada facendo. E’ anche tornata la parola “emergenza”, quella cancellata nel 2018 in modo sbrigativo per arginare De Luca.

Tutto il resto è noia

In mezzo secolo ci eravamo abituati agli annunci romani, ad essere trattati come periferia. Oggi c’è un risultato che è di tutti, ma se si è arrivati a questo traguardo lo si deve a tre donne. Punto. Tutto il resto è noia.

Ps. Ho fatto questo esercizio di memoria perché in riva allo Stretto le cose si confondono e ce le dimentichiamo. Chissà, magari alle prossime elezioni amministrative possiamo farlo questo salto di qualità e votare una donna.