La sentenza lascia aperte altre piste. Ma la prescrizione incombe. L'amarezza dei genitori
Vogliono giustizia i genitori di Salvatore. Hanno battagliato per sette lunghi anni per arrivare a fare luce su quella che per loro non può essere una tragedia senza colpevoli. Perché per mamma e papà un figlio non può morire folgorato su un tombino per una tragica fatalità senza responsabilità.
“Siamo comprensibilmente delusi – commentano i genitori della vittima dopo la sentenza di primo grado che scagiona gli imputati, dopo sette anni di procedimento – ma la battaglia per la verità e per rendere giustizia al nostro Salvatore non finisce qui”.
Mamma Iryna e papà Antonino, assistiti dall’avvocato Filippo Pagano, sono decisissimi a proseguire nella loro battaglia giudiziaria per arrivare ad avere giustizia. Una giustizia che non restituirà loro Salvatore, ma colmerà forse quel buco nero di frustrazione e smacco.
“Sappiamo che adesso l’indagine dovrà ripartire da zero e che ci vorranno altri anni, ma confidiamo che prima o dopo si riesca finalmente a capire di chi è la colpa della tragedia che ci ha distrutto la vita, strappandoci nostro figlio, e che si arrivi a una adeguata condanna”, concludono.
Tutto da rifare. Ma incombe la prescrizione
“Dopo ben venti interminabili udienze, finalmente oggi la sentenza a distanza di oltre sette anni dal fatto. Esito: tutto da rifare. Ebbene, si. Il Giudice, come sembra evincersi dal dispositivo oggi letto alla fine della camera di consiglio, ha evidentemente ravvisato la responsabilità a carico di persone diverse da quelle contro cui il Pubblico Ministero, aveva ritenuto, all’epoca, di procedere, senza disporre gli approfondimenti suggeriti dal difensore di parte civile che rappresentava i genitori e la sorella del ragazzo – spiega l’avvocato Pagano – Tutto da rifare quindi? Forse. Difatti, visto che ormai il reato è prossimo alla prescrizione, la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per iniziare un nuovo processo contro i responsabili sarà solo una formalità. Il procedimento penale a carico dei responsabili morirà ancora prima di nascere”.
Quando le parti del processo non dialogano
“Questi sono i paradossi delle norme del processo penale ai quali si potrebbe ovviare favorendo un dialogo costruttivo tra parte privata (imputato o persona offesa che sia) e Pubblico Ministero – conclude amareggiato il legale – Quando invece la persona offesa o l’imputato avanza una richiesta alla Procura e non ottiene neanche una risposta (positiva o negativa che sia), non si facilita un dialogo costruttivo e si determina un clima di tensione tra lo Stato ed il cittadino. Ma la famiglia del giovane quindicenne stroncato nel fiore dei suoi anni continuerà a combattere con maggiore determinazione fino al completo accertamento della verità. Andiamo avanti!”
