Intervista a Marco Baliani, protagonista de -La notte delle lucciole- in scena alla Sala Laudamo

Intervista a Marco Baliani, protagonista de -La notte delle lucciole- in scena alla Sala Laudamo

Intervista a Marco Baliani, protagonista de -La notte delle lucciole- in scena alla Sala Laudamo

sabato 28 Febbraio 2009 - 15:51

Col teatro vorrei allontanare dalla strada e dalla droga le giovani generazioni

Incontro Marco Baliani alla Sala Laudamo un paio d’ore prima che vada in scena la replica dello spettacolo La notte delle lucciole di cui è l’interprete e l’autore assieme a Roberto Andò, curatore quest’ultimo della drammaturgia e regia. Baliani originario di Verbania, una bella cittadina sul Lago Maggiore, ha 59 anni e si occupa di progetti teatrali che hanno fatto storia come quello su I porti del Mediterraneo per conto dell’ETI (Ente Teatrale Italiano) che lo hanno visto protagonista al Vittorio Emanuele nel novembre del 1997 assieme a quindici ragazzi alle prese con varie storie di Giufà, comprese quelle di Bufalino e Sciascia, e poi nel marzo successivo alla Laudamo con un messianico romanzo di Horvath, Gioventù senza Dio, per il quale Baliani ha curato trascrizione drammaturgica e regia.

Signor Baliani, La notte delle lucciole è una sorta di puzzle tratto dall’ Affaire Moro e Le parrocchie di Regalpetra di Sciascia e da alcuni Scritti Corsari di Pasolini pubblicati sul Corriere della Sera con alcuni accenni a Pirandello e Canetti. Come nasce questo spettacolo?

“ All’origine era solo una lettura fatta a Palermo in occasione dell’inaugurazione del Teatro Nuovo Montevergini diretto da Alfio Scuderi. Soltanto un’idea buttata lì tutta di getto. Poi io e Andò abbiamo visto che poteva diventare qualche altra cosa e abbiamo cominciato a lavorarci con un impegno diverso. Così è diventato uno spettacolo che lei ha visto e che ha avuto modo, lì dove lo abbiamo presentato, in particolare a Milano e Roma, di riscuotere un successo notevole. C’è da dire che rispetto a queste piazze, i ragazzi in scena erano più piccoli, quale richiamo a Sciascia che nel suo paese natio, Racalmuto, ha svolto l’attività di maestro di scuola elementare.

Le si riconosce d’essere fra quei pochi interpreti di spicco in Italia assieme a Paolini, Celestini, Enia, di diffondere un Teatro cosiddetto di “narrazione”. Quando e come le nasce questa verve, questo solitario modo di stare sulla scena?

“ Ha avuto inizio nel 1984 a Genova durante alcuni laboratori teatrali con ragazzi disagiati con problemi di droga. Per anni ho fatto degli esperimenti tastando in particolare quanto tempo riuscivo a stare solo in scena. M’interessava in particolare l’idea di spostare gli occhi alle orecchie, di fare lavorare lo spettatore più con l’udito che con gli occhi e dargli la possibilità di ascoltare, di sentire le mie parole”.

Lei ha l’aplomb d’un magister cui interessa il mondo dei giovani con le sue problematiche. E’ per questo motivo che 1998 ha messo in scena Gioventù senza Dio di Horvath?

“ Sì anche per questo, ma soprattutto perché il romanzo parla di adolescenza ed era chiaro il vuoto che c’era nel romanzo riempito dalle parole del nazismo. Horvath aveva capito che in quel periodo i ragazzi potevano uccidere per il proprio gusto di vedere un corpo che muore. Episodi purtroppo che accadono ai giorni nostri quando leggiamo o sentiamo in televisione che alcuni ragazzi filmano col proprio telefonino uno stupro o una qualunque violenza”.

Che fine ha fatto il progetto -I porti del Mediterraneo?-

“ E’ durato cinque anni ed è finito dopo aver creato una serie di rapporti con Tunisi, Casablanca, Beirut e altre città del Mediterraneo”.

Cinque anni fa lei ha creato quel progetto titolato Pinocchio nero per aiutare i ragazzi di strada di Nairobi, calandosi un po’ nei panni di quel clown, che si chiama Miloud, che per allontanare dalla strada e dalla droga i ragazzini rumeni lì ha coinvolti in una sorta di circo di strada che ha preso il nome di Parada su cui è stato pure realizzato un commovente film.

Che fine hanno fatto i venti ragazzini neri coinvolti nel suo spettacolo?

“ Lavoro ancora con questi ragazzi e nei prossimi mesi andremo ad Amsterdam con uno spettacolo che s’intitola L’amore buono e i temi trattati sono quelli dell’AIDS”.

Sulle pagine di Repubblica alcuni giorni fa Baricco ha lanciato la proposta di dirottare i finanziamenti destinati allo spettacolo a scuole e televisione. Qual è il suo pensiero?

“ Penso che Baricco ha travisato il problema non so per quali motivi reconditi. Il problema è che lo Stato non c’è rispetto agli altri Paesi a sostenere la cultura come immagine della nazione. Mentre l’Italia destina alla cultura solo lo 0,16% del Pil, la media europea è dell’1,4%. Il fatto che i teatranti non siano ancora intervenuti la dice lunga sullo stato di miseria del nostro teatro: abbiamo paura e la paura genera censura. Mai come in questo momento il teatro è il luogo dove parlare della contemporaneità della crisi”.

Che cos’è il Teatro per lei?

Il Teatro per me è una forma alta di artigianato nel senso che il testo deve essere usato e non contemplato. Quindi mi occupo di quel Teatro che si possa mangiare sì da diventare un nutrimento. Va bene pure se ti va storto ed esci diverso da come sei entrato.

FINE

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