Nessun elemento positivo per dare attenuanti a De Pace, mai spaventato dal covid. Ecco le motivazioni sulle attenuanti diventate un caso
Reggio Calabria – Lo stress da Covid 19 può essere un elemento valutabile come attenuante, nel calcolare una condanna per omicidio? Probabilmente sì. Ma non nel caso di Antonio De Pace, che pare aver ucciso la fidanzata Lorena Quaranta come nel più classico dei femminicidi.
E’ questo in estrema sintesi il ragionamento della Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria che lo scorso 28 novembre ha confermato l’ergastolo per l’infermiere del vibonese che ha strozzato la compagna specializzanda in Medicina il 30 marzo 2020 nella loro abitazione di Furci Siculo.
In primo grado nel luglio 2022 la Corte d’Assise di Messina lo aveva condannato al carcere a vita, pena confermata in secondo grado ma la Cassazione aveva rinviato al nuovo esame dei giudici d’appello, stavolta a Reggio Calabria, perché valutassero se era possibile applicabile l’attenuante dello “stress da covid 19” invocato dalla difesa dell’infermiere.
Lo stress da covid 19 diventa un caso
Una ordinanza diventata un caso che aveva suscitato l’attenzione anche del ministro della Giustizia Nordio, che aveva aperto una istruttoria sulla vicenda.
Il dietro front della Procura
Il rinvio della Suprema Corte sembrava aprire la strada alla possibilità di evitare l’ergastolo, soprattutto davanti la richiesta della Procura Generale, a Reggio Calabria, di condannare De Pace a 24 anni e non al carcere a vita. La linea non è però passata e la sentenza “bis” è stata ancora una volta la più rigorosa.
Niente attenuanti a prescindere dal covid
Nelle poco più di 20 pagine di motivazione, i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria spiegano che, se è vero che la pandemia è stata una circostanza certamente impattante per tutti e non tutti siamo in grado di farvi fronte alla stessa maniera, se è vero che questo è lo “sfondo” del delitto e che lo sfondo è valutabile, quale attenuante, è pur vero che le attenuanti si possono concedere nel caso di “elementi positivi” rilevati dalla condotta dell’imputato. Elementi positivi che nel caso di Antonio De Pace non ci sono.
Infine gli elementi negativi sono al contrario e comunque, aggiungono i giudici di secondo grado reggini, di gran lunga prevalenti: De Pace si è sempre chiuso nel suo mutismo, non ha mai spiegato perché quella sera ha litigato con Lorena, e in carcere è stato protagonista di atti di violenza nei confronti degli altri detenuti. Per non parlare della efferatezza dell’omicidio: Lorena, ha stabilito l’autopsia, è morta per soffocamento minuti dopo che Antonio le ha messo le mani al collo, che non si è mai fermato malgrado i tentativi della fidanzata di divincolarsi dalla presa mortale; avrebbe avuto tutto il tempo di lasciare la presa prima dell’esito tragico, invece ha inferito guardandola morire.
Antonio De Pace, ritratto di un narciso
Chiarito questo punto, la Corte reggina ripesca e conferma, anche nella valutazione di merito, gli elementi evidenziati dalla sentenza di primo grado emessa a Messina nel 2022. Le motivazioni di quel giudizio, firmate dal presidente Massimiliano Micali, spiegano infatti perché lo stress da Covid 19 non c’entra e De Pace è il femminicida.
Intanto lo stress da covid non regge perché, come evidenziato anche dalla Corte d’Appello di Messina, De Pace non sembra aver paura del contagio: la sera prima gioca a playstation con un amico, continua la sua attività di infermiere in piena pandemia, torna a casa e con Lorena che presenta i primi segni di influenza ci mangia e dorme. Nel 2022 in carcere addirittura si ammala di covid e non mostra alcun segno di particolare disagio.
Antonio De Pace, scrivono i giudici, non ha mai mostrato segni di disturbo psichico ma piuttosto, come ha evidenziato il perito della corte, “tratti narcisistici”, ovvero quelli ricorrenti tra gli uomini che si scagliano con violenza sulle donne.
I frame del delitto
Quel tragico giorno Antonio ha litigato con Lorena e “lungi dall’essere stato travolto da una sensazione di concitazione emotiva improvvisamente palesatasi al momento del delitto”, ha al contrario per sua stessa ammissione “sentito crescere dentro di sé una condizione di disagio”. Una condizione che “non ha però tentato adeguatamente di contrastare. Come nei casi di femminicidi classici, anziché tentare di dominarsi e risolvere il proprio conflitto interiore e le frustrazione, l’uomo violento si avventa sulla propria donna che diventa involontaria incarnazione di tutti i mali dai quali si sente afflitto.
“De Pace nulla ha fatto per tentare di placare l’ansia dalla quale si sentiva oppresso, se non dare corso a un tentativo di allontanamento da Furci cui ha prontamente abdicato”. Durante la “fuga” dalla casa di Furci, Antonio viene tempestato di messaggi della fidanzata che lo prega di tornare e dei parenti che lo pressano per non lasciarla sola. Lui torna e si sente schiacciato, scrivono i giudici, nel “dissidio tra il dover dare sfogo al suo incomprensibile ed esacerbato disagio psicologico e la necessità di onorare i suoi doveri di compagno”.

La condanna all’ergastolo è giusta e sacrosanta, questo individuo merita di rimanere in carcere a vita, ma purtroppo sappiamo benissimo che magari tra buona condotta e cavilli vari tra meno di trenta anni purtroppo sarà libero.
E’ una tragedia, è morta una ragazza innocente, il suo assassino pagherà per il suo folle gesto, ma non va odiato. Il narcisismo non esiste. L’odio non risolve nulla.