Dalla tv all’attualità politica, dalla Crimea ad Abu Ghraib, il saggio “Senza vergogna” analizza i nostri tempi
Quando è scomparso il concetto di vergogna nel nostro paese? Cosa comporta la sostituzione della figura mitologica di riferimento da Edipo a Narciso? Lo scrittore e saggista Marco Belpoliti, firma de L’Espresso e La Stampa, analizza con grande lucidità e avvalendosi di numerosissime fonti, il mutare del concetto di pudore, la sua scomparsa, cui s’accompagna l’idealizzazione del banale, dell’arrivismo più sfrenato: «L’unica vergogna ammessa è una vergogna superficiale, la vergogna di non aver successo, di non essere nessuno, di non essere diventati ricchi, di non vivere nel lusso. E’ una vergogna figlia dei talk show televisivi che denuncia anche la scomparsa di alcuni valori come l’onestà o la coerenza». In Senza Vergogna (Guanda editore; pp. 254; €16), ideale prosecuzione de Il Corpo del Capo, Belpoliti denuncia la comparsa dell’atteggiamento blasé, sostituitosi al cinismo d’un tempo e il mutare del ruolo genitoriale: «Se i genitori diventano amici cade un punto di riferimento sostanziale per gli adolescenti». Un saggio pungente che si apre e si chiude con la cronaca nostrana ma ci conduce anche nel carcere iracheno di Abu Ghraib, a Tokyo, nelle camerette degli hikikomori, a Città del Capo in compagnia di J.M. Coetzee, a New York con Andy Warhol, e nella Londra multietnica di Salman Rushdie; ritorna a Nagasaki, ritratta da un fotografo giapponese subito dopo l’esplosione atomica e visitata da Günther Anders, e poi va nella Las Vegas del porno di David Foster Wallace.
Ne “Il corpo del capo” lei si soffermava sulla fisicità di alcuni leader e dittatori. In “Senza vergogna” approfondisce il concetto dal punto di vista etico, analizzando la sia la scomparsa della vergogna che del suo gemello, il pudore. Tutto ciò cosa comporta?.
«E’ la diretta conseguenza di quello che accade tutti i giorni, una sorta di negazione della realtà e delle proprie responsabilità morali e ciò si traduce nel rifiuto di dover rendere conto agli altri del nostro agire soprattutto nel campo pubblico. Tutto ciò comporta la comparsa della vergogna amorale, ossia una vergogna priva di profondità morale. L’unica vergogna ammessa oggigiorno è una vergogna superficiale, la vergogna di non aver successo, di non essere nessuno, di non essere diventati ricchi, di non vivere nel lusso. E’ una vergogna figlia dei talk show televisivi che denuncia anche la scomparsa di alcuni valori come l’onestà o la coerenza».
Soprattutto in tv si idealizza il banale e, di pari passo, scompare la stima per l’intellettuale impegnato. Qual è il modello di riferimento oggi?
«Ieri rientrando a Milano, ho visto alla stazione un enorme pubblicità del Gratta e Vinci che prometteva una vita lussuosa e piena di agi, come se il lavoro e la dedizione che esso richiede, fossero una punizione scomoda, assolutamente da evitare. Si è sempre detto che la lotteria e i quiz a premi sono l’ultima spiaggia per chi crede di non avercela fatta nella vita, la scelta dei disperati. La gente non spera più in se stessa e questo mi sembra un problema serio».
Un altro punto cruciale del suo libro consiste nell’aver individuato la sostituzione della figura di riferimento mitologica: da Edipo si passa a Narciso
«In questo libro ho messo in un certo ordine considerazioni fatte da altri studiosi. Oggi non c’è più il senso di colpa, gli adolescenti, come dicono da anni diversi psicologi, provano vergogna verso il proprio corpo e hanno bisogno di essere riconosciuti fra i propri coetanei e così il numero degli amici di Facebook, al di là della qualità, diventa molto rilevante. Edipo era in conflitto con il padre, voleva ucciderlo, invece oggi i genitori non esistono più perché si sono tramutati in amici. Narciso è rabbioso e vendicativo soprattutto quando si sente frustrato, si guarda allo specchio e non è capace di dimenticare».
Lei afferma che oggi la condizione blasé sia predominante, soppiantando il cinismo. Ma cosa intende per blasé?
«E’ l’atteggiamento di chi è diventato indifferente verso tutte le cose, senza preoccuparsi di stabilire cos’è importante e cosa non lo è. La gente sembra diventata incapace di partecipare intimamente, con passione sincera, alle cose».
Vorrei chiudere chiedendole se non ha il timore che, pur parlando dei vizi e dei difetti di Silvio Berlusconi, gli si faccia indirettamente buon gioco?
«Sinceramente, questo libro non è contro Silvio Berlusconi ma lo riguarda. Difatti nessun giornale di destra ha stroncato questo libro che poteva essere tranquillamente edito da Einaudi. E’ un testo che cerca di spiegare com’è cambiata la nostra società in questi anni e cosa comportano tali cambiamenti. Ovviamente ciascuno è libero di trarre le proprie conclusioni».
Marco Belpoliti, saggista e scrittore, ha pubblicato diversi libri; di recente sono usciti: La prova (Einaudi, 2007), il racconto del suo viaggio nell’Europa dell’Est sulle tracce di Primo Levi, La foto di Moro (Nottetempo, 2008), Diario dell’occhio (Le Lettere, 2008) e La strada di Levi. Da Aauschwitz al postcomunismo (con Davide Ferrario e Andrea Cortellessa, Chiarelettere, 2010). Curatore con Elio Grazioli della rivista-collana Riga(Marcos y Marcos), insegna all’Università di Bergamo e collabora a La Stampa e a L’Espresso.
