Esordiente di lusso, l'avvocato Ferdinand von Schirach si racconta a Tempostretto.it
Un colpo di vento (Longanesi; pp. 240; € 18) uno dei libri-evento della Fiera di Francoforte sbarca in Italia e date le premesse – in Germania ha venduto rapidamente ben 160mila copie e i diritti di traduzione sono stati venduti in 23 paesi – il suo successo è destinato a crescere. L’autore, Ferdinand Von Schirach, è un noto penalista tedesco che per «semplice amore della scrittura» ha portato se stesso sulla pagina, con tutti i dubbi, le ansie e i sentimenti propri di ogni essere umano. La galleria di personaggi che Von Schirach porta sulle pagine è molto variegata – da uno stimato medico ad una “onesta” prostituta passando per le sorti di una famiglia borghese e molti altri – traendo rigorosamente spunto da quei casi che hanno scosso l’opinione pubblica in patria. Dunque sono vicende realmente accadute seppure trasfigurate per non ledere la privacy di nessuno. Le ragioni del suo successo risiedono certamente nella prosa elegantemente sobria, avvincente senza sconfinare nel thriller o nel romanzo di genere. Ma certamente l’elemento più interessante del libro è il coniugarsi di due nature: “L’avvocato” ha preso posto accanto al “romanziere”, fornendogli quegli elementi concreti per portare sulla pagina l’essenza stessa della follia umana: molto spesso il semplice frutto del rancore e della rabbia covati per anni ma talvolta il semplice richiamo dell’istinto, il frutto di un unico raptus incontrollato destinato a mutare il corso delle cose per sempre…
Avvocato come mai ha voluto trasportare se stesso nel mondo letterario?
« C’è solo una risposta, semplice e tutt’altro che emozionante: mi piace scrivere. Ecco tutto».
Com’è nato il libro? Da esordiente è stato difficile ottenere questa prosa, elegantemente sobria?
«Grazie per il complimento. Non glielo so spiegare. È successo che una notte mi sono seduto al computer, l’ho acceso e ho cominciato a scrivere. La cosa è andata avanti per tre mesi soltanto e la mia redattrice ha detto che non c’era quasi niente da correggere. Penso che per scrivere una buona storia sia necessario togliere in un certo senso tutti gli aggettivi, mantenere solo l’essenziale. Di solito le storie sono molto chiare nella mia testa e procedo con una sola stesura. Sarei lieto di raccontarle qualcosa di più interessante a questo proposito, ma non c’è».
Data la cruenza dei fatti narrati, vorrei chiederle se per lei è difficile convivere con i segreti dei suoi clienti. Anche per lei come Fahner, il vincolo professionale può essere una promessa difficile da mantenere?
«Il rapporto tra avvocato e cliente presuppone distanza. Perché mentre si tenta di capire cosa sia successo e si cerca una strategia per difendere l’uomo o la donna. Io ascolto, rifletto e prendo qualche appunto. La pietà è una cosa personale che alla fine forse gioca anche un ruolo. Ma una difesa sensata richiede distacco. È quasi impossibile infatti difendere gli amici. E con i propri clienti non si esce a pranzo o a cena. Neanche a parlarne».
Da Hobbes in poi sappiamo che alla base della nostra convivenza pacifica e della nostra società ci sono delle regole che vanno osservate e rispettate. Eppure, c’è qualcosa dei “cattivi” che sempre ci affascina. Come mai?
«Ce ne stiamo al calduccio delle nostre coperte e guardiamo i crimini offerti dalla televisione. Non c’è pericolo, solo suspense. L’esatto contrario della vita vera. Chi non ha mai pensato alla perfetta rapina in banca o all’omicidio perfetto? Il nostro mondo è piuttosto noioso; tutto è prestabilito. Già al mattino quando vai a prendere il bus hai a che fare con una ventina di divieti e prescrizioni e relativi cartelli in tutte le lingue. Nella nostra vita tutto sembra strettamente regolato: vietato fumare, vietato aprire i finestrini oppure chiuderli; obbligo di differenziare la spazzatura, obbligo di allacciare la cintura di sicurezza; vietato telefonare mentre si guida; obbligo di fermarsi al rosso, obbligo di parcheggiare negli appositi spazi, eccetera. Tempo di arrivare in ufficio e hai già rispettato un centinaio di divieti e prescrizioni. Chi commette reato non ci bada. È libero, o almeno così ci sembra. È senza briglie. La cosa ci affascina. Sappiamo che lo beccheranno e restiamo a guardare volentieri. Una volta mi è capitato un assistito accusato di omicidio. Durante una pausa del processo, sempre nella gabbia degli imputati, si è acceso una sigaretta. Per lui la previsione era di una lunga pena detentiva e già da mesi era in prigione. La guardia è andata subito da lui a dirgli “Qui dentro è vietato fumare”. E il mio cliente gli ha risposto: “Altrimenti? Mi arresta?”».
La citazione finale di Magritte è un tocco di eleganza. Cosa intendeva dire, che in fin dei cont -niente è come appare-?
«Siamo tutti portati a pensare che la prima cosa che vediamo sia quasi certamente vera. Non so cosa sia la colpa. È difficile dirlo, potremmo leggere Dostojeski ma anche così non sarebbe facile trovare una risposta. La suprema corte di giustizia in Germania una volta ha detto: “Colpa è ciò che può essere personalmente rimproverato a un individuo”. È una buona definizione. Però ci aiuta poco. Fin da bambini sappiamo cos’è giusto e cosa è sbagliato. Di solito col passare degli anni non si impara molto di più. La colpa è complicata quanto la vita. È la cosa più interessante dell’uomo. Alla fine è tutto solo un colpo di vento.
Dato il successo del libro mi domando se non sia tentato di riporre la toga e dedicarsi a tempo pieno alla scrittura…
«Continuerò a fare l’avvocato. Ho bisogno del tribunale, anche questo fa parte della mia vita».
Ferdinand von Schirach è nato a Monaco nel 1964. La sua esperienza di avvocato penalista a Berlino (nel corso della sua carriera si è occupato di alcuni dei crimini che hanno coinvolto maggiormente l’opinione pubblica tedesca) gli ha fornito il materiale che ha ispirato il suo libro d’esordio, Un colpo di vento.
