Il giorno dopo l'elezione del segretario provinciale Rao caratterizzata dalle polemiche. Sul piede di guerra anche il capogruppo al Comune Greco. Bottari: «Contestiamo metodo e percorso». Le diverse posizioni
Quanto è democratico il Partito democratico? E’ una domanda che ci siamo posti già in passato e che oggi torna d’attualità, perché a farsela, stavolta, sono gli stessi esponenti del partito dal suo interno, all’indomani di un’assemblea che ha sì eletto il segretario provinciale e il presidente dell’assemblea, Pippo Rao e Francesco Calanna, ma ha allo stesso tempo fatto emergere tutti quei mal di pancia (soprattutto nei confronti del leader Francantonio Genovese e dei suoi metodi di gestione del partito) che covavano da tempo e che adesso esplodono, con conseguenze che potrebbero rivelarsi particolarmente evidenti anche e soprattutto a Palazzo Zanca.
Qui, infatti, il capogruppo del Pd in consiglio comunale è quel Marcello Greco esponente dell’area Letta che oggi sottoscrive in pieno un documento di fuoco scritto di getto dal collega Paolo Saglimbeni, e anzi rincara la dose, lasciando intendere movimenti e cambiamenti di rotta non più da escludere. «La totale inagibilità democratica dell’assemblea provinciale del Pd – scrive Saglimbeni – ha indotto l’area Letta ad abbandonare i lavori. Di particolare gravità è da ritenere il diniego di sottoporre al voto all’assemblea la proposta di eleggere un comitato di coordinamento, rappresentativo del pluralismo interno, con il compito di traghettare il Pd provinciale al congresso regionale previsto a febbraio 2009. Proposta alternativa a quella del segretario regionale Genovese, considerata tardiva, per essere stata formulata dopo l’11 luglio, data di avvio della fase congressuale regionale, e irrituale per avere affidato la competenza ad un organismo illegittimo piuttosto che all’assemblea provinciale eletta dai circoli territoriali il 5 maggio scorso».
«Motivazioni della proposta Genovese – prosegue Saglimbeni nella parte più dura della sua nota – potrebbero essere riconducibili alle esigenze di occupare il partito per arrivare all’assise congressuale da padre padrone e/o di soffocare il prevedibilmente spigoloso dibattito sul recente passato e sulle prospettive future. L’area Letta considera inaccettabile il persistere di questi atteggiamenti da parte di chi ha commesso tanti errori ed ha avuto le maggiori responsabilità delle sconfitte elettorali, la più grave delle quali la democrazia negata, e preannuncia battaglia a tutto campo nella fase congressuale per costruire un partito che consenta una reale agibilità e partecipazione politica a tanti attivisti ed elettori che non si rassegnano al regime dei signorotti locali».
Una posizione netta e forte, che in consiglio comunale trova l’appoggio di Gaetano Gennaro, ex esponente di Vince Messina, unico consigliere del gruppo Pd – Democratici per Messina: «Il partito esprime diverse sensibilità – afferma – per questo è necessaria una dialettica interna, il muro contro muro non serve a nessuno. Credo che questo fosse il momento sbagliato per eleggere la segreteria, sembra solo un voler mostrare i muscoli e creare un partito -degli eletti-. E’ bene poi essere chiari e franchi, il dato non è quello del 40 per cento, un dato che deriva dalle tante liste presentate per il Comune e che non è quello reale. Bisogna avviare, poi, una seria riflessione sull’agibilità interna del partito, a partire, ad esempio, dal comitato di verifica del tesseramento. Il punto è uno: in questo momento le due parole che formano il Pd sono fuori luogo, perché non è né un partito né tantomento democratico».
Anche fuori dal Palazzo le posizioni sono contrapposte al -metodo Genovese-, è già questa estate erano emerse con la linea dettata dal trio Bottari-Panarello–Saitta. Proprio Angela Bottari, uno dei leader storici dei Ds messinesi, spiega che «non abbiamo votato non certo per un giudizio negativo nei confronti delle persone, ma sul metodo e il percorso scelti, e perché avremmo preferito che a due mesi dal congresso si optasse per un coordinamento unitario. Il buon senso suggeriva di non scegliere i segretari adesso, ma di attendere lo sviluppo di una base politico-programmatica maggioritaria proprio in sede di congresso. Sono stati eletti vertici senza questa base programmatica. Una maggioranza, se si vuole considerare tale, deve esporre una propria linea sia all’interno del partito che all’opinione pubblica, altrimenti le scelte lasciano il tempo che trovano. Il Pd non può essere solo ciò che resta dei partiti che l’hanno fatto nascere, tutti parlano di rinnovamento, io preferisco il termine innovazione, ma l’esperienza che la vecchia classe dirigente ha maturato deve guardare fuori e oltre. La nostra iniziativa politica non si ferma – aggiunge in conclusione la Bottari – vogliamo parlare alla società. Avremmo preferito che lo facesse il partito per intero, vorrà dire che per il momento lo farà solo una parte di esso».
Un’ultima annotazione sul minuto di silenzio per il prof. Adolfo Parmaliana: un gesto che segue un silenzio, quello dei vertici del Pd, ben più lungo dei sessanta secondi di ieri.
(nelle foto Marcello Greco e Angela Bottari)