Presentazione libri e conversazione sulla Sicila di Giuseppe Longo e Gesualdo Bufalino

Presentazione libri e conversazione sulla Sicila di Giuseppe Longo e Gesualdo Bufalino

Dalila Tassone

Presentazione libri e conversazione sulla Sicila di Giuseppe Longo e Gesualdo Bufalino

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giovedì 26 Gennaio 2012 - 10:55

La Sicilia è ginestra,/è marzapane,/limone, lupara,/pane sudato,/tentazione …

Un omaggio a Gesualdo Bufalino e Giuseppe Longo, un tributo alla Sicilia, un rievocazione della bella scrittura. Così, forse, si possono sintetizzare gli stimoli lanciati ieri al Monte di pietà, nel corso di uno degli ultimi incontri della Rassegna Cento Sicilie, promossa dall’assessorato provinciale alla Cultura e curata da Milena Romeo.

Ad aprire l’incontro i saluti dell’assessore alle politiche culturali Mario D’Agostino che ha evidenziato come la rassegna abbia dato “fiato ad un percorso culturale” denso; a seguire l’intervento di Milena Romeo che, sottolineando la “necessità di attingere ai grandi per parlare alla contemporaneità”, ha inteso denunciare la giacenza del preziosissimo fondo Longo negli scantinati della Facoltà di Lettere e Filosofia, di cui si auspica un immediato recupero per poter studiare quegli intrecci fitti di dell’autore con il panorama culturale nazionale.

I versi da L’inutile dolore, recitati dalla voce potente dell’attrice Giovanna Battaglia, hanno avuto l’effetto teatrale di un calo di luci sulla scena e dell’occhio di bue puntato sulla guida dell’incontro: le parole della professoressa Ella Imbalzano Amoroso sono una appassionata (e appassionante) lettura, rivisitazione critica ed emozionata del percorso letterario dei due autori, dai forti legami con la Sicilia, dalla straordinaria valenza scrittoria.

Di Giuseppe Longo, il genio critico della professoressa Imbalzano Amoroso si è occupato in un saggio dal titolo “Per vederla dovetti aspettare: Giuseppe Longo e L’isola perduta”: ha aspettato la neve, Longo, ma per vederla stabilmente ha dovuto abbandonare la sua Sicilia ed emigrare; la sua Sicilia perduta perché “omologata agli standard del continente, visto come altro da sé”; la sua Sicilia vissuta in un dicotomico rapporto di “amore/odio, allontanamento/nostalgia”; la sua Sicilia “iperbolica” capace della “solarità e del gelo nordico”, della luce del sole, del buio cupo dell’odio.

Due i binari entro cui si muove la scrittura di Longo secondo la disamina della studiosa: da una parte una “documentazione antropologico-culturale” degli anni vissuti in terra natia con particolare attenzione al tema della violenza, della sopraffazione sulla donna, ma anche alla dimensione “cosmica, metafisica della terra attraverso il mistero del terremoto”, dall’altra parte una revisione, una lettura sotto il profilo “dell’indole degli abitanti, la mafia, l’indolenza, la Storia” frutto della mistione delle dominazioni. La Sicilia è un’isola, scrive Longo, la sicilianità è uno status, è una caratteristica che si esprime nella “teatralità dei gesti, nelle sinfonie allergiche, nel vento di soave” che ha portato la nostra “anima solare” a mischiarsi con quella “cupa tedesca” di quel Federico II che amava la Sicilia e la cultura. La Sicilia è un’isola e le pagine fortemente realistiche e di trasfigurazione lo confermano.

Il tributo a Giuseppe Longo continua con Massimo Mollica che dice di aver colto il “fiore” dello scrittore a cui ha dedicato, unico in Italia, un teatro di campagna, con i suoi odori, i suoi prodotti, i suoi colori, un omaggio concreto a Longo che amava la sua terra “tanto da dare l’impressione di odiarla”.

[…] Io col passato ho rapporti di tipo vizioso, e lo imbalsamo in me, lo accarezzo senza posa, come taluno fa coi cadaveri amati. […]. Alla fine mi lascia solo parole. E tanto peggio che sono le stesse, grasse umide calde, di cui mi farcisco ora e mi farcivo allora la bocca, incerto fra nausea e ingordigia, come chi recita la prima volta”, legge Giovanni Di Giacomo regalandoci una delle pagine più belle di Gesualdo Bufalino da Diceria dell’untore e la lettura è un gancio per un’altra, interessante, disamina critica della professoressa Imbalzano Amoroso che, sull’autore, ha pubblicato, per Bompiani, la illuminante monografia Di cenere e d’oro.

L’attacco del capitolo XI costituisce “lo slancio, il lampo della memoria” che “trucca sé stessa, mente, racconta scegliendo e sceglie raccontando”, è memoria di cui l’autore coglie “bagliori di luci e d’ombra”, attraverso una scrittura che “imbalsama”, “fagocita” mostrando le proprie “fulminazioni di sintesi”, perché quello di Bufalino non è un barocco “effuso, espanso”, ma imbevuto di poesia pura e formazione classica per cui in grado di condensare in un concetto “tutto il suo stato d’animo”: solo appoggiato alle “inferriate del suo sequestro”, Bufalino può scrivere, novello Prometeo, la “canea della vita”, la vita “polposa, stracciona, rozzante”, che egli “smalta senza cadere nel più ovvio realismo”.

E, infine, la Sicilia, le “Cento Sicilie” di Bufalino, la sua Sicilia “iperbolica” (da affiancare a quella di Longo, dice la professoressa), “cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, fra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione”.

Con questa lettura di Giovanni Di Giacomo si conclude il densissimo incontro che ha, sì, reso omaggio a due grandi scrittori, ma ha illuminato la nostra terra del fervore culturale che, ancora, veicola.

… La Sicilia è mare, / pianura arsa, montagna, / roccia, tepore / dentro le mani, / sapore di menta, / gentile carezza d’amore, / partenza, estraneità.

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