Nessun reato di falso in bilancio per gli amministratori.

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lunedì 23 Maggio 2011 - 22:01

Assolti: Paratore, Cangemi, Trimboli, Mellina, Pantè, Scibilia, Russo, Manetto, e Vulpetti

Assoluzione per il CdA ed il collegio dei revisori dei conti dell’Ato Me 2, sotto processo per aver – secondo la Pubblica accusa, rappresentata dal Pm Francesco Massara- commesso reato di falso in bilancio per gli anni 2005 e 2006. Ieri, però, il giudice monocratico del Tribunale di Barcellona,dott.ssa Maria Celi, ha assolto i nove imputati: Andrea Paratore, 63 anni di Falcone; Santi Gangemi, 61 anni di Monforte San Giorgio, in atto liquidatore della stessa Ato; Antonio Trimboli, 68 anni, di Milazzo; Carmelo Pantè, 68 anni di Messina; Mario Mellina, 46 anni di Milazzo, l’ex presidente del collegio dei revisori dei conti Vincenzo Scibilia, 50 anni di Taormina; i sindaci effettivi Orazio Antonio Russo, 50 anni di Sant’Agata Militello, Nino Manetto, 64 anni di Caronia, ed il presidente del consiglio di amministrazione della società di revisione “Trirevi srl” Francesco Vulpetti, 49 anni di Erice, con le formule: “per non aver commesso il 0fatto” e “perché il fatto non costituisce reato”.

L’inchiesta era nata sulla base di controlli svolti da parte della Guardia di finanza di Milazzo, col cap. Danilo Persano, incaricata di esaminare i bilanci relativi agli anni 2005 e 2006 dell’Ato Me 2 (società d’ambito che ha gestito i rifiuti nei 38 Comuni da Villafranca a Brolo), ed approvati dai soci, ossia i Sindaci dei vari Comuni ricompresi, dal CdA, e con parere favorevole rilasciato dal Collegio dei revisori e dalla Società di controllo esterna ossia la “Trirevi srl”. I finanzieri avevano segnalato come anomala la coincidenza tra l’ammontare delle fatture di pagamento del servizio di igiene ambientale svolto in ciascun anno e l’importo complessivo dei costi sostenuti per lo stesso esercizio, così aveva ritenuto che si fosse fatto ricorso ad un artificio contabile pur di presentare un bilancio in pareggio. Tale tesi era stata quindi riportata e sostenuta anche dal pm, Francesco Massara che, insieme alle parti civili (28 Comuni azionisti dell’Ato, con in testa il Comune maggior azionista ossia Barcellona P.G.), ne aveva chiesto la condanna.

Nell’udienza di ieri, il giudice, Maria Celi, ha assistito agli interventi ed alle puntuali spiegazioni dei difensori degli imputati: l’avv. Francesco Chillemi, Fabrizio Formica, Pinuccio Calabrò, Carlo Autru Ryolo, Francesca Minasi, Clara Russo, Andrea Lo Castro e Giuseppe Palermo. Il collegio di difesa ha chiaramente evidenziato l’inesistenza del reato contestato, facendo notare che la tariffa Tia era ancora in vigore in quegli anni non essendo stata ancora annullata, che i Sindaci, “paradossalmente” costituitisi parti civili, erano perfettamente a conoscenza della situazione economica dell’Ato, dei costi relativi a quelle annualità tutti regolarmente fatturati, e sui quali al tempo non avevano mosso alcuna contestazione; così come erano a conoscenza del fatto che le soluzione per far fronte ai costi derivanti dall’erogazione del servizio potevano essere o l’emissione di fatture della Tia a carico degli utenti (tra l’altro in quegli anni fortemente confusi da una campagna prettamente politica rivelatasi per niente proficua inneggiante alla morosità) o addebitare ai Comuni tali somme. Ed ancora l’avv. Fabrizio Formica ha inoltre minato alla base di tutta l’indagine poichè citando una sentenza delle Sezioni Unite, ha fatto notare che: “Gli Ato, sebbene costituiti con forma di diritto privato in SpA, sono enti pubblici in quanto svolgono un servizio di pubblica utilità con risorse economiche di provenienza pubblica al posto dei Comuni e pertanto l’unico ente deputato ad un controllo contabile può essere la Procura regionale della Corte dei conti”.

Ma volendo entrare nel merito della compilazione del bilancio – durante la fase dibattimentale- è stato il supporto tecnico in materia contabile affidato al docente di Economia Aziendale dell’Università di Messina, prof. Francesco Vermiglio, che ha chiarito la correttezza dello stesso. Il Prof. Vermiglio ha spiegato, infatti, che dall’esame di tutta la contabilità le fatture di riscossione del servizio che secondo la Gdf non erano mai state emesse risultavano invece presenti negli esercizi successivi e che la scelta del Cda di coprire i costi del servizio con le fatture di conguaglio non era altro che la perfetta applicazione della disciplina prevista dal decreto Ronchi, sottolineando in tal modo che l’accertamento eseguito dagli investigatori non sia stato svolto in modo esatto e completo.

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