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Case, immobili e condominio in pillole

Si possono locare stanze anche se il regolamento di condominio vieta l’affittacamere?

 Il divieto generico di adibire singoli appartamenti dello stabile condominiale a locande, pensioni o affittacamere, previsto dal regolamento condominiale, non va inteso quale divieto di locare meramente singole stanze di una abitazione a diverse persone. In questo senso si è anche espresso il Tribunale di Milano con sentenza n. 1947 in data 22 febbraio 2018, il quale ha sottolineato che una siffatta inibizione è valida solo qualora venga svolta in divieto un’attività commerciale esercitata con modalità realmente imprenditoriali. L’attività di affittacamere è, infatti, diversa dalla semplice locazione di una singola stanza e presuppone – oltre alla concessione in uso di un locale ammobiliato provvisto delle necessarie forniture di energia elettrica, acqua e quant’altro – anche la prestazione di ulteriori servizi quali la pulizia dei locali e la fornitura della biancheria. In mancanza di tali servizi aggiuntivi non si può parlare di attività di affittacamere, bensì di semplice locazione d’alloggi. 
Chi sopporta i costi relativi all’antenna tv condominiale? L’art. 9, primo comma, della legge n. 392 del 1978 specifica che sono dovute dal conduttore le spese riguardanti l’ordinaria manutenzione dell’ascensore, la fornitura dell’acqua, dell’energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell’aria, dello spurgo dei pozzi neri e delle latrine, nonché quelle relative alla fornitura di altri servizi comuni. Non può dubitarsi che l’antenna condominiale rientri tra gli altri servizi comuni, cui fa genericamente riferimento il disposto della suddetta norma. La disposizione di legge non specifica però cosa debba intendersi per spese di manutenzione ordinaria. Sulla scorta dei principii generali si ritiene comunque tale, e quindi da porsi in capo al conduttore, la spesa concernente la verifica ed il controllo periodico dell’impianto di ricezione televisiva. Sono altresì da considerarsi ordinarie le riparazioni e le sostituzioni connesse al normale utilizzo dell’impianto.   

Come devono essere suddivise le spese per la ricostruzione delle scale? I costi di ricostruzione delle scale devono essere ripartite tra i condòmini per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo.
I condòmini possono restare estranei alle liti condominiali? Qualora l’assemblea dei condòmini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda in giudizio, il condòmino dissenziente può dissociarsi dalla scelta operata dal condominio e rimanere estraneo alla lite medesima ed esprimere il suo dissenso secondo le modalità fissate dall’articolo 1132 del Codice civile. La manifestazione di tale dissenso non è legata a forme solenni essendo sufficiente che la comunicazione venga effettuata con un atto scritto diretto all’amministratore o a tutti i partecipanti. In ogni caso il condòmino che intenda separare la propria responsabilità da quella degli altri condòmini per il caso di soccombenza del condominio in una lite non può limitarsi a manifestare la propria volontà in tal senso nel corso dell’assemblea condominiale che ha deliberato al riguardo, ma deve provvedervi con un atto distinto e ulteriore rispetto alle dichiarazioni rese in assemblea, da comunicare all’amministratore in una sede diversa dall’adunanza condominiale (Trib. Napoli, 8 gennaio 2003). Il termine di trenta giorni previsto per formalizzare la volontà di dissociarsi dalle deliberazioni dell’assemblea è a pena di decadenza.

AREA DI PARCHEGGIO, PLUSVALENZA IMPONIBILE Cassazione n. 584, 11 gennaio 2019 In tema di IRPEF, l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico, quale la destinazione a parcheggio, incide nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore potenzialità edificatoria, senza escluderne l’oggettivo carattere edificabile, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione, sicché la relativa cessione a titolo oneroso è idonea a determinare l’insorgenza di una plusvalenza imponibile. Analogamente, le aree destinate a opere di urbanizzazione per servizi di quartiere, come attrezzature scolastiche, sociali, culturali, assistenziali, nonché le zone di verde pubblico, sono da ritenersi edificabili, comportando, in caso di relativa cessione a titolo oneroso, la determinazione dell’eventuale plusvalenza IRPEF, tenuto conto che la norma non contiene alcun elemento dal quale possa evincersi la limitazione unicamente all’edilizia residenziale.

Novità recate dal decreto semplificazioni in tema di liberazione dell’immobile pignoratoIl d.l. n. 135 del 14.12.‘18 (convertito nella l. n. 12 dell’11.2.’19), meglio noto come “decreto semplificazioni”, reca una norma di particolare interesse per le procedure esecutive. Il provvedimento, infatti, ha riscritto l’art. 560 cod. proc. civ., che, nella sua nuova versione, stabilisce ora che il debitore e i familiari con lui conviventi non perdano il possesso dell’immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento. Più in dettaglio, la norma dispone che, nelle espropriazioni immobiliari aventi inizio dal 13.2.‘19, il giudice non possa “mai disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia” di tale decreto allorché l’immobile di interesse sia “abitato dal debitore e dai suoi familiari”. Questo, salvo “sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti”, oppure “l’immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione, per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare” o, ancora, il debitore violi “gli altri obblighi che la legge pone a suo carico”. Precisato che il decreto in questione, prima della sua conversione in legge, si limitava ad aggiungere due nuovi periodi all’originario testo dell’art. 560 cod. proc. civ. con cui veniva assicurato un trattamento di favore ai soli debitori esecutati che fossero altresì contestualmente creditori della pubblica amministrazione, ciò che in questa sede interessa evidenziare è come l’intervenuta riformulazione rappresenti un radicale stravolgimento della precedente impostazione normativa. Secondo il vecchio testo del predetto art. 560, infatti, la permanenza del debitore nell’immobile oggetto di esecuzione forzata costituiva un’eventualità ed avveniva a discrezione del giudice dell’esecuzione, che poteva autorizzare il debitore a continuare ad abitare nell’immobile. E in questa prospettiva erano anche previste disposizioni – pure queste ora soppresse – che dettavano un procedimento semplificato e accelerato per la liberazione dell’immobile. Allo stato, invece, è la liberazione anticipata del cespite che rappresenta una mera eventualità, condizionata al verificarsi di una delle ipotesi sopra indicate. La regola è l’occupazione del bene da parte del debitore e dei suoi familiari fino al decreto di trasferimento. Si tratta di una scelta, questa compiuta dal legislatore, assolutamente non condivisibile. Ciò, perché consentire al debitore esecutato di conservare la disponibilità dell’immobile pignorato per tutta la durata del procedimento costituisce un evidente aggravio anche per il mercato delle aste giudiziarie. E’ un dato di comune esperienza, infatti, che un immobile occupato non sia particolarmente appetibile (richiedendo la sua liberazione diverso tempo) e venga, quindi, liquidato con maggior difficoltà. Il risultato sarà, dunque, che d’ora in avanti si assisterà a più tentativi di vendita rispetto al passato e a prezzi di aggiudicazione inferiori, con conseguente minore soddisfazione non solo dei creditori, ma anche dello stesso debitore esecutato, cioè proprio del soggetto che l’intervento di riforma si proponeva di favorire, sia pure, comunque, molto discutibilmente anche in questo.


CONFEDILIZIA MESSINA