Il nipote di Santapaola considerato l'uomo cerniera tra famiglia mafiosa e ambienti finanziari "puliti" ha fatto scena muta all'interrogatorio di garanzia. Domani tocca all'avvocato Lo Castro e Stefano Barbera.
Non sono arrivati colpi di scena dalla prima tornata di interrogatori di garanzia seguiti alla retata Beta.
Stamane il Gip Salvatore Mastroeni si è recato a Gazzi per i primi quattro colloqui ma, ad eccezione di Enzo Santapaola, gli arrestati attesi oggi al confronto col giudice hanno preferito fare scena muta.
Ai faccia a faccia hanno preso parte anche i Pm titolari delle indagini, Liliana Todaro, Antonio Carchietti e Maria Pellegrino – coordinati dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita. I magistrati torneranno nel carcere messinese anche domattina per gli interrogatori di garanzia di altri quattro arrestati.
Tra loro, due dei protagonisti della vicenda: l’avvocato Andrea Lo Castro e Stefano Barbera, factotum di Vincenzo Romeo.
Anche quest’ultimo stamane si è avvalso della facoltà di non rispondere, e ha opposto il silenzio alle domande rivolte dal magistrato sulle accuse contestate.
Mastroeni, che ne ha disposto l’arresto, lo dipinge come una sorta di Carminati dello Stretto, l’uomo di vertice di una realtà che continua ad avere le sue basi nella famiglia d’origine, una famiglia di spicco della mafia siciliana come quella dei Santapaola. Ma che cerca di affrancarsi dai metodi violenti che essa adopera e incarna storicamente. Per scelta o per strategia.
A volte sembra una scelta, scrive il giudice ripercorrendo le conversazioni di Romeo intercettate dai Carabinieri. Come quando lo stesso catanese racconta come ha conosciuto un “maresciallo”, da bambino, venuto ad arrestargli il padre. Lui e i tanti fratelli erano bocche innocenti da sfamare e i carabinieri hanno mostrato con loro, incolpevoli di una colpa altrui, il volto umano dell’Arma. Quindi Romeo non vuole finire nei guai, dice, non vuole rischiare di staccarsi dalla sua famiglia per via di traversie giudiziarie e tanto meno vuole fare patire loro quel che ha passato lui. Altre volte sembra mera strategia.
Attraverso questa sommersione dell’aspetto violento e i suoi ottimi rapporti con professionisti e imprenditori di prim’ordine, Enzo Romeo ha fatto crescere parecchio il fatturato proprio e quello degli altri suoi sei fratelli. Tuttavia il “marchio di nascita” non si smacchia, scrive il giudice Mastroeni, tanto è vero che il non ricorrere a crimini e violenze vale soltanto quando le cose vanno a posto da sole, quando c’è “l’accordo tra le parti”. Quando invece gli equilibri si rompono, ecco che si ricorre ai vecchi metodi.
E’ ancora una volta la mole immensa di conversazioni intercettate a raccontarla. Come quella in cui Enzo Romeo racconta all’amico che nottetempo è stato rubato al fratello un motorino da un pregiudicato messinese il quale, accortosi a chi aveva fatto il torto, è andato a restituirlo ancor prima che il derubato si svegliasse e se ne accorgesse.
O come quando spiega all’imprenditore Carlo Borella, poi all’avvocato Lo Castro, che soltanto lui può recuperare i mezzi della Demoter rubati dalla ‘ndrina in Calabria.
O come quando aggredisce minaccia senza mezzi termini Cristian Alessi della ForEdil, nell’estate 2014, reo di non voler continuare a fornirgli materiale perché l’impresa di Romeo tarda a pagare, durante i lavori a Fondo Fucile. Il siparietto violento, registrato dai Carabinieri del Ros, si chiude con il proposito di Enzo di danneggiare i mezzi della ForEdil e per questo fa cercare i fratelli Antonio e Salvatore Lipari, questo ultimo dipendente Asp, arrestati ieri per porto d’armi. A farne le spese fatalmente sarà il povero pitbull Airon.
Esemplare è poi, secondo il giudice, una conversazione tra il factotum Barbera (B) e il dottor Mantelli (M) in auto, in cui il messinese spiega qual è il ruolo ed il carattere di Romeo, dipingendolo persino migliore di tanti coi quali tratta i così detti affari “puliti”. Ma lo “scafato” Mantelli lo provoca.
M: “ecco, ma se questi non fanno pace lui come interviene”
B: “ no non interviene, la sua presenza già diventa un antideterrente, lui li mette d’accordo”
M: “ecco non fanno pace?”
B: “eh, può capitare, pure io gli ho detto questa cosa, ma se non vi mettete d’accordo? No devono mettere d’accordo, uno deve andare incontro all’altro. E se non succede? Io devo..io valuto perché hanno…chi dei due ha sbagliato e la cosa la devono chiudere in questa maniera…ma se non la chiudono?La chiudono perché al di là non possono andare perché finisce male per chi ha torto”(…)
M: “però questo ha ancora un potere di persuasione”
B: “forte” M
: “Che non viene solo dalla famiglia ma viene anche da una realtà ambientale…”.
La storia imprenditoriale dei nipoti di Nitto Santapaola a Messina, e di Enzo Romeo in particolare, scrive il giudice Mastroeni, comincia con la gestione delle scommesse. Poi è proprio Biagio Grasso a convincerlo a buttarsi nell’edilizia – è lo stesso Enzo a rinfacciarlo al socio.
I Romeo sono poi appassionati di cavalli e in particolare di quella tradizione tipicamente messinese che sono le giostre e relative scommesse clandestine.
“Lo sapete perché vi sto chiamando? Mi interessava un cavallino 40-41 che vola…mille metri..la strada è come l’albuliddi”.
E’ il 19 novembre 2013, a telefonare è Francesco Romeo e dall’altro lato c’è Antonio Romeo, già coinvolto nell’inchiesta Pista di Sabbia dei Carabinieri. Tante altre successive telefonate tra i Romeo e l’omonimo già sotto processo per le corse clandestine svelano ai carabinieri che i Romeo corrono, gestiscono le scommesse, hanno una scuderia con almeno 3 cavalli, discutono di medicinali e doping, discutono di una pista a Siracusa e dell’acquisto di altri animali per le corse.
Alessandra Serio