teatro

Come un granello di sabbia – Giuseppe Gulotta, storia di un innocente

Mana Chuma Teatro, vincitore del Premio Associazione Nazionale Critici Teatro 2019, ha prodotto questa rappresentazione ospitata nell’ambito del messinese Clan Off,da venerdi 7 a domenica 9, per la intensa stagione teatrale in corso, “Resistenze”. Si è tracciata la storia di Giuseppe Gulotta, un giovane muratore di 18 anni, con una normale esistenza, aggredita “ex abrupto” a seguito di sua traduzione in una caserma in provincia di Trapani,ad Alkamar, ,con torture,per costringerlo a confessare l’intercorso omicidio ad Alcamo Marina, il 27 gennaio 1976, di due carabinieri,Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Aveva fatto seguito l’arresto e una inaccettabile e interminabile sequela di assoluzioni,condanne e annullamenti con rinvio nei vari gradi di giudizio,il tutto reiterato in una scioccante sequenza. In realtà la trama era (ed è) sinistramente intricata,durante la cd strategia della tensione, tra Servizi segreti deviati e pezzi di apparato statale,ove uomini politici e istituzionali erano in trattativa con gruppi neofascisti, mentre si intermezzavano traffici di armi e droga … serviva al più presto un capro espiatorio per dirottare l’attenzione… e allora ecco i 22 anni di carcerazione di Gulotta nel solco dei trentasei di calvario giudiziario, con il perseguitato che ha incredibilmente resistito pur nella percezione di sè qual granello di sabbia in un ingranaggio incomprensibile, fino al processo di revisione, ove ha ottenuto, con resistente ostinazione e strenua lotta, davvero da plauso, la definitiva riabilitazione .Sulle “stranezze” delle indagini per quella strage aveva indagato, in via privata, anche Peppino Impastato,ucciso dalla mafia nel 1978,e tale cartella documentale fu sequestrata in casa di Felicia Impastato, e mai restituita dai Carabinieri. Le scene di Aldo Zucco, le musiche originali di Luigi Polimeni ,e le luci di Stefano Barbagallo, hanno contribuito a fare risaltare una storia oscura, portatrice di conseguenze in buona parte insanabili,in carenza ad oggi di un colpevole. Questi tragici fatti, che si stentano a ritenere realmente accaduti , intrisi come sono di trascuratezza, errori, omissioni, violazioni di legge e falsità, fino a giungere a una sorta di frode giudiziaria, non potevano essere sottaciuti, e anche su un palcoscenico si è responsabilmente divulgata questa incredibile vicenda legale,in un percorso teatrale che si sta snodando in ambito nazionale e europeo. Lo script di Nicola Biondo è “Alkamar – la mia vita in carcere da innocente”, ed. Chiarelettere, la drammaturgia e la regia,entrambe inpeccabili, di Salvatore Arena e Massimo Barilla,così come la perfetta e incalzante interpretazione di Salvatore Arena stesso. Vite come questa hanno bisogno di retroattiva giustizia e di un prolungato risarcimento morale anche a mezzo di queste rappresentazioni-testimonianze, per le sottrazioni e le violenze insopportabili subite, per ragioni certo ingiustificabili e inconfessabili. Giuseppe Gulotta ci ha trascinato in questo iter orrorifico di una gioventù interrotta con le torture, la carcerazione, ma anche la speranza e la fiducia nella reintegrazione della propria identità, con cocciuta determinazione. Premio Selezione In-box blu 2016 per uno script su un protagonista suo malgrado di un viaggio all’inferno, che non si deve obliare, con tutti gli interessi in campo, le vicende umane, anche quelle di Salvatore e Carmine – vittime della strage – o di Giovanni, Vincenzo e Gaetano – gli altri capri espiatori designati . Occorre far percepire il profondo senso di dignità e consapevolezza delle vittime,e, anche se certo è improbabile si possa giungere a una vera identificazione, senza alcuna retorica,tali accadimenti si pongono come esemplari nel comune sentire,e,nelle intenzioni dell’innocente protagonista,che ha interagito con il coinvoltissimo pubblico tramite diretta video,infatti potrebbero servire da deterrente per il futuro;il coraggioso Giuseppe ha risposto a quesiti degli spettatori,mettendo anche in luce il supporto della famiglia d’origine e di quella che era riuscito a formarsi, in questa resistente difesa e la propria consapevolezza di essere incolpevole. Alla voce di Giuseppe si sono alternate nello splendido monologo quelle di un illuminato vice questore schiacciato dall’ingranaggio, che aveva anche orchestrato le torture della moglie Michela e dei genitori del perseguitato. Aldo Zucco,giova ripeterlo, con scenografia multiforme e opprimente in uno, evocativa, con quella enorme lampada,la sedia e lo sgabello dozzinali,e quel simulacro appeso ,a simboleggiare un corpo da macello,e le musiche drammatiche di Luigi Polimeni hanno contribuito a scandire i non pochi momenti clou,sostenendo lo scorrere della drammaturgia e facendo da contrappunto emozionale al racconto. Un convinto plauso.