Ergastolano e da anni sottoposto al regime di carcere duro non aveva mai voluto pentirsi. Era malato di aids ma continuava a svolgere le sue attività, soprattutto le estorsioni ai danni di commercianti ed imprenditori
Il boss di Villa Lina, Giuseppe Mulè, 53 anni è morto stamattina all’ospedale “Maggiore” di Milano. L’ergastolano era detenuto in regime di 41bis, ormai da circa quindici anni. Qualche anno prima aveva annunciato di essere malato di aids ma molti non gli credevano. Non pochi, e fra questi i magistrati della Dda di Messina, erano convinti che Mulè strumentalizzasse la sua presunta malattia per ottenere trasferimenti in carceri meno duri o in centri clinici ed ospedali e poter continuare a svolgere le sue attività criminose, su tutte le estorsioni. Non a caso domani il boss di Villa Lina sarebbe stato sottoposto a nuova perizia medica dopo l’annullamento, da parte della Cassazione, della decisione del Tribunale del riesame che aveva rigettato l’istanza di scarcerazione presentata dai suoi legali.
Giuseppe Mulè per certi versi può essere considerato un caso unico nella storia della criminalità messinese. E’ passato attraverso le varie stagioni senza risentire di alleanze fra clan, tradimenti, operazioni antimafia e soprattutto superando la fase dei pentimenti di tanti picciotti un tempo fedeli. Mulè è sempre rimasto un uomo di rispetto, temuto ed ossequiato. Non ha mai voluto collaborare con la giustizia nonostante la condanna all’ergastolo ed il 41 bis. Fino all’ultimo il suo nome è stato sinonimo di terrore soprattutto per commercianti ed imprenditori come hanno rappresentato recenti operazioni di Polizia. Ergastolano, affetto da aids, accusato da decine di pentiti, nulla era riuscito negli anni a scalfire la sua tempra e l’immagine di ferocia che si portava dietro. Mulè, nato a Villa Lina è cresciuto all’ombra di padrini storici del quartiere. In breve è divenuto un uomo d’onore. Il suo spessore criminale si è accresciuto a suon di omicidi, spaccio di droga ed estorsioni. Nel maggio del 1995 viene condannato all’ergastolo per l’uccisione di Letterio Rizzo. Nel 2005 la Corte d’appello conferma a suo carico ben due ergastoli nel processo Peloritana 2. Mulè è accusato di quattro omicidi e tre ferimenti nella guerra di mafia fra il clan Mancuso-Rizzo e quello di Villa Lina, all’epoca capeggiato da Luigi Galli. E’ proprio in questo periodo che a Mulè viene diagnosticato l’aids. Comincia una vera e propria battaglia giudiziaria fra perizie e controperizie. Il boss riesce ad ottenere permessi e ricoveri nei centri clinici delle carceri in cui è detenuto. Proprio mentre si trovava agli arresti ospedalieri al “Margherita” il 29 aprile 1998 Mulè si rende protagonista di una clamorosa evasione. Fugge su una sedia a rotelle dal reparto di Malattie infettive e si rende irreperibile. Due settimane dopo gli agenti della Mobile, pedinando la convivente Floriana Ro, lo arrestano in un’abitazione di villaggio Molino. Da allora, per via dell’aids conclamato, entra ed esce dal carcere. I suoi legali dimostrano più volte che il suo stato di salute non è compatibile con la detenzione in cella. Nel settembre 2006 Mulè lascia il carcere di Milano “per gravi motivi di salute” e torna a Messina. Le sue condizioni di salute dovrebbero essere gravi ma in realtà viene avvistato più volte in città mentre gira sulla sua auto. Nell’agosto 2007 il Tribunale di Sorveglianza di Milano gli revoca il beneficio e gli infligge gli arresti ospedalieri. Ma Mulè non si sogna nemmeno lontanamente di tornare in clinica. Rimane a Messina finchè la Procura Generale non emette un ordine di carcerazione per rispedirlo in cella. Ma quando i Carabinieri lo cercano a casa per notificarglielo il boss è sparito. Il 3 settembre 2007 Giuseppe Mulè è nuovamente latitante. Ricomincia l’infinita sfida fra il boss e lo Stato. Questa volta sulle sue tracce ci sono i Carabinieri. I Militari dell’Arma lo individuano in Campania e lo arrestano il 9 dicembre 2007 in un appartamento di Scafati, in provincia di Salerno. Non aveva più coperture dopo che la squadra Mobile, nel giro di pochi mesi, gli aveva arrestato gli uomini più fidati in tre operazioni antiestorsione denominate Ghost 1, 2 e 3. Mulè torna in carcere e ricomincia la battaglia per dimostrare la sua malattia messa spesso in dubbio dai suoi comportamenti. Intanto fioccano le condanne. Il 10 giugno 2009 la Corte d’Appello gli infligge 16 anni per l’omicidio del compagno di cella Salvatore Caruso. Lo aveva aggredito nel febbraio 2006 perché non gli aveva dato la precedenza per andare sotto la doccia. Mulè lo prese più volte a colpi di stampella e quando Caruso stramazzò per terrà sbatte il capo sul pavimento. Morì qualche giorno dopo in ospedale. Nel giugno scorso l’ultima condanna di rilievo. I giudici del Tribunale di Messina gli hanno inflitto 15 anni per le estorsioni compiute direttamente dal suo letto d’ospedale del “Margherita”. I commercianti gli portavano direttamente in ospedale i soldi del pizzo, confondendosi fra la folla dei parenti dei degenti. Storie di oltre 15 anni fa quando cominciò a manifestarsi la malattia che lo ha condotto alla morte.
