La parabola di Scardino, dall'Inter alla famiglia mafiosa di Sem Di Salvo

La parabola di Scardino, dall’Inter alla famiglia mafiosa di Sem Di Salvo

Redazione

La parabola di Scardino, dall’Inter alla famiglia mafiosa di Sem Di Salvo

martedì 05 Maggio 2009 - 16:03

A 20 anni nell'Inter, oggi ritenuto il braccio destro del boss barcellonese

Il centravanti ha smesso di fare gol. Dal prato verde di San Siro ad una cella del carcere di Asti il passo non è stato breve. Cosimo Scardino oggi ha 50 anni ed alle spalle una carriera di calciatore che sicuramente poteva essere più generosa. Non era una campione ma un attaccante con il fiuto del gol. A tradirlo un carattere fin troppo esuberante e l’impazienza di raggiungere un successo ed una fama mai realmente toccati. Cosimo non voleva aspettare. Oggi Scardino è un frequentatore delle cronache giudiziarie. Indicato come uomo di fiducia del boss barcellonese Sem Di Salvo ha smesso da tempo i panni della promessa mancata del dorato mondo del calcio per indossare quelli scomodi del “picciotto” di Cosa Nostra. Di lui hanno parlato i pentiti, lo hanno indicato come braccio destro di Di Salvo, il padrino venuto dal Canada. Sarebbe lui l’uomo che gestisce per conto della “famiglia” le bische clandestine e tiene i contatti con i boss delle cosche amiche. Eppure una trentina di anni fa Cosimo Scardino sembrava destinato a scalare l’olimpo del calcio. A 18 anni era già un elemento di spicco della formazione Primavera dell’Inter. La società nerazzurra aveva inviato degli osservatori per visionarlo a Patti, sua città d’origine. Le referenze erano ottime. Secondo le prime relazioni giunte a Milano quel ragazzino era un fenomeno. Segnava caterve di gol, spesso giocando con i più grandi. E così un emissario dell’Inter piombò a Patti ed acquistò il cartellino del giocatore. Poi convinse i genitori a lasciarlo partire per Milano. Ma in Lombardia venne fuori il caratterino di Cosimo. Si narra che nello spogliatoio neroazzurro non fosse visto di buon occhio dagli anziani per via di quella sua sicurezza che spesso sfociava in tracotanza. Ma sulle sue doti non c’erano dubbi. Fece qualche apparizione con la maglia dell’Inter in amichevoli, poi in coppa Italia e si mise in mostra. Ma gli allenatori erano spesso costretti a ricordargli che ordine e disciplina sono le prime regole per sfondare nel mondo del calcio. Di lì a poco iniziò la parabola discendente di Scardino. Scese di categoria e trovò la sua dimensione nella Nuova Igea. A Barcellona tornò ad essere il bomber che aveva fatto intravedere da ragazzo. Con la maglia dell’Igea si tolse le migliori soddisfazioni ma forse quella prolungata permanenza a Barcellona segnò per sempre la sua vita.

Chiusa la carriera di calciatore e di lui non si seppe più nulla. Poi improvvisamente qualcosa accadde. Scardino tornò a far parlare di se ma non per i suoi gol e per i dribbling ubriacanti ma per qualcos’altro. Nel luglio del 2003 viene arrestato dalla Polizia nell’operazione Omega Obelisco. E’ un’inchiesta sulla gestione degli appalti pubblici e delle bische a Barcellona da pare del clan Di Salvo. Scardino viene indicato dal gip come alter ego di Sem Di Salvo. E’ lui che gestisce le bische, è lui che tiene i contatti con Santo Lenzo, padrino della famiglia mafiosa di Mistretta, per pilotare alcuni appalti.

I guai per l’ex promessa dell’Inter sono appena iniziati. Viene arrestato anche nell’operazione antimafia Icaro. E’ proprio Santo Lenzo, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia, ad indicarlo come uomo di fiducia di Di Salvo. Così nell’agosto del 2004 il Ministro della Giustizia Castelli, accogliendo la richiesta della DDA messinese, gli infligge il 41 bis, il regime di carcere duro. Scardino non corre più dietro ad un pallone ma è rinchiuso in una cella in isolamento come un vero boss. Che il suo spessore criminale sia in crescita lo dimostra la relazione che il Procuratore di Barcellona, Rocco Sisci, consegna alla Commissione parlamentare Antimafia nel giugno 2005. Il Procuratore afferma che «nell’organigramma della dirigenza mafiosa, possono anche indicarsi quali possibili referenti a livello locale, oltre a Giuseppe Gullotti e Sem Di Salvo, Pietro Arnò, Felice Spinella, Angelo Porcino, Giovanni Rao, Cosimo Scardino e Cattafi Rosario. Ciò sulla base di un’attenta lettura dei vari atti giudiziari che li hanno coinvolti» ed anche «dai rapporti interpersonali quali emergono da attività info-investigative delle forze dell’ordine». Un investitura vera e propria da parte della magistratura barcellonese. Intanto Scardino, sorvegliato speciale di pubblica sicurezza, si trasferisce ad Asti ma, secondo gli inquirenti, anche dal Piemonte continua a muovere le sue pedine ed a mantenere i contatti con i barcellonesi. Ed è lì che lo raggiungono nelle settimane scorse Caliri ed i fratelli Coppolino, secondo quanto emerso dall’operazione Ulisse. Gli chiedono di intercedere presso i boss di Cosa Nostra del Longano e risparmiare loro la vita. E per Scardino, che li rassicura senza troppa convinzione, si riaprono le porte del carcere. L’ultimo clamoroso autogol di Scardino, il centravanti che non voleva aspettare.

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