IL COMMENTO

Elezioni del Presidente della Repubblica, ecco perché ci interessa

di Alberto Randazzo*

Com’è noto, ogni sette anni (salvo casi eccezionali), il Parlamento in seduta comune – integrato da tre delegati regionali (uno per la Valle d’Aosta) – è chiamato ad eleggere la più alta carica dello Stato; convocato dal Presidente dalla Camera, il 24 gennaio p.v. si avrà la prima votazione. Non è possibile scendere qui nel dettaglio delle procedure e delle condizioni che accompagnano l’elezione del Presidente, ma si noti solo che secondo la forma di governo tracciata dalla Costituzione repubblicana (quella parlamentare) noi cittadini non siamo chiamati direttamente a scegliere il Capo dello Stato, alto compito che appunto spetta ai nostri rappresentanti, che in un certo senso “deleghiamo”. È forse questo l’aspetto che, erroneamente, fa apparire un po’ lontana la “vicenda” in discorso. Tuttavia, è chiaro che una “vicenda” del genere non possa (e non debba) lasciarci indifferenti, costituendo uno snodo fondamentale della vita istituzionale del nostro Paese. I motivi per i quali ci sentiamo interpellati sono diversi.

Perché ci interessa?
Per prima cosa, mi piace richiamare Piero Calamandrei che negli anni ’50 invitava a rifuggire dall’indifferentismo alla Politica, una “malattia dei giovani” (ma, aggiungo io, non solo), “una delle offese che si fanno alla Costituzione”, ritenendo che la Politica sia “una brutta cosa”. Secondo l’insegnamento di Aristotele, essa è virtù al servizio del Bene comune; per Paolo VI, invece, è “una maniera esigente […] di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri” (Octogesima adveniens 46). Non a caso ho usato la “P” maiuscola, per richiamare le parole di papa Francesco all’Azione Cattolica radunata in p.zza S. Pietro per festeggiare i primi 150 anni di storia dell’Associazione (cfr. anche M. Truffelli La P maiuscola. Fare politica sotto le parti, ed. Ave, 2018).

Altra ragione per la quale l’elezione del Presidente non può che interessarci è ovviamente connessa alla cittadinanza, che si concretizza nel legame di un soggetto con lo Stato (e quindi con le sue istituzioni, con il suo ordinamento). L’essere cittadini non solo comporta una serie di diritti e di doveri, ma è uno status che implica un’appartenenza, che dovrebbe impegnare a vivere in pienezza il presente, senza trascurare il passato e proiettandosi nel futuro. Appartenenza, ovviamente, significa sentirsi “parte di un tutto” (P. Calamandrei), “avere gli altri dentro di sé”, avvertire “quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa che in sé travolge ogni egoismo personale” (come ha cantato Giorgio Gaber).

Il senso della cittadinanza è mirabilmente espresso nelle pagine della Politica di Aristotele, per il quale i cittadini erano coloro che potevano partecipare all’esercizio della funzione legislativa e giurisdizionale. Particolarmente attuale appaiono le parole del Filosofo, quando osservava che i cittadini sono coloro che “hanno il compito comune di salvare la comunità” (1276 b) e che è cittadino “colui che può e vuole essere comandato e comandare avendo di mira una vita secondo virtù” (1284 a). Nel Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa si legge, inoltre, che il cittadino è chiamato ad “‘essere parte’ attiva della realtà politica e sociale del Paese” (187).

In quanto credenti, poi, pienamente immersi “nel mondo” pur non essendo “del mondo” (cfr. A Diogneto), siamo chiamati a saper leggere i “segni dei tempi” ed anche – a mio avviso – a riconoscere lo stretto rapporto che intercorre tra fede e politica, profilo sul quale non è possibile soffermarsi in questa sede. Insuperata, al riguardo, appare la lezione di G. Lazzati che identificò la “politica” con l’impegno a “costruire la città dell’uomo a misura d’uomo” (come si legge nell’introduzione del noto scritto che porta questo titolo). I cristiani, chiamati a comportarsi da “cittadini degni del Vangelo” (Fil 1,27), sono infatti invitati alla partecipazione politica (cfr. Compendio della Dottrina Sociale 189 ss., 565 ss.). Inoltre, le istituzioni, alle quali ovviamente si può ricondurre anche il Presidente della Repubblica, fanno parte a pieno titolo di quelle “cose temporali” delle quali i fedeli laici si devono prendere cura (cfr. Lumen gentium 31, ma v. anche 36; Apostolicam actuositatem 7). A quest’ultimo proposito, non è un caso che finora diversi siano stati i capi dello Stato di formazione cattolica, alcuni dei quali hanno pure vissuto l’esperienza associativa dell’Azione cattolica italiana (in particolare, penso a Scalfaro e allo stesso Mattarella).

L’importanza del Presidente
Volgendo lo sguardo al ruolo e alla “posizione” del Capo dello Stato all’interno dell’ordinamento, occorre rilevare che la sua funzione sia tutt’altro che onorifica o notarile, motivo in più che deve spingerci a partecipare con vivo interesse all’elezione del Capo dello Stato e a seguirne il settennato con attenzione.

La Costituzione italiana, seppure in modo non troppo stringente e dettagliato, si occupa del Presidente della Repubblica nella Parte II, dall’art. 83 all’art. 91, fascio di previsioni alla cui redazione molto contribuirono i costituenti cattolici e, in particolare, i quattordici che sedevano nella seconda sottocommissione; per tutti, si possono ricordare Leone (che sarebbe diventato il VI Capo dello Stato), Mortati, Tosato, Ambrosini, Vanoni ed altri.

Come si sa il Presidente non è un organo di indirizzo politico (a differenza del Governo e del Parlamento); ciò non toglie che l’esercizio delle sue attribuzioni (v. art. 87 Cost., ma non solo), in qualche modo “collegate” con i tre poteri dello Stato, abbia inevitabili ricadute politiche. Tutt’altro che un “maestro di cerimonie” (M. Ruini, ma v. anche P. Calamandrei) o, addirittura, un “fainéant” (V.E. Orlando), il Presidente è chiamato ad essere super partes, “potere neutro”, “arbitro” nella contesa politica per far sì che vengano rispettate le regole del “gioco” ovvero la Costituzione. Il Capo dello Stato, infatti, operando da garante, ha l’alto compito di assicurare – nell’esercizio delle sue funzioni costituzionalmente sancite – che la Carta fondamentale venga applicata e viva nell’esperienza (seppure con altre modalità, a questo è chiamata anche la Corte costituzionale). Come il nostro attuale Presidente ha osservato nel Messaggio di fine anno, il Capo dello Stato è tenuto a “spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune come bene di tutti e di ciascuno”. Egli, infatti, non prende parte ai giochi politici, ponendosi esclusivamente dalla parte della Costituzione.

A quanto ora detto, si aggiunga che ogni settennato fa storia a sé in quanto il modo di intendere la carica e di esercitare i poteri ad essa connessi dipendono da due fattori che non è possibile sottovalutare: per un verso, dal punto di vista soggettivo, dalla personalità (e quindi anche dal carattere) del singolo Presidente; per altro verso, dal punto di vista oggettivo, dal contesto storico-politico nel quale il Capo dello Stato si trova ad operare (è noto, ad es., che maggiore è la crisi delle forze politiche, maggiore è l’incidenza della funzione presidenziale). Non a caso, si è parlato di “fisarmonica del Presidente” (G. Pasquino) per intendere il continuo espandersi e ritrarsi dei poteri della prima carica dello Stato in base alle variabili alle quali si è accennato. Da quanto detto, emerge come il Presidente, pur nel rispetto della sua neutralità e rimanendo nell’alveo assegnatogli nella Carta, sia dotato di una inevitabile “forza politica” (T. Martines) che potrebbe, in alcuni casi, anche influenzare l’indirizzo politico.

Il “garante dell’equilibrio costituzionale”
Dal quadro brevemente accennato deriva il sicuro rilievo che il Capo dello Stato ha all’interno dell’ordinamento, specie – come detto – quale prezioso moderatore tra le parti politiche nonché stimolo ed impulso per i poteri dello Stato; come ha detto la Corte costituzionale, “garante dell’equilibrio costituzionale” e “magistratura d’influenza” (sent. n. 1 del 2013, p. 8.3 del cons. in dir.). Questi compiti appaiono ancora più rilevanti e non poco rinvigoriti proprio in una fase, come quella che viviamo, non solo funestata dalla crisi sanitaria (e sociale), ma anche dalla crisi dei partiti politici, non certo paragonabili a quelli che conobbero i costituenti.

Ci accingiamo allora ad essere (non passivi) spettatori della vicenda che porterà al Quirinale il 13° Presidente della Repubblica italiana; quel Palazzo, posto sul colle più alto di Roma insieme a quello della Consulta, si prepara ad avere un nuovo inquilino. Non è facile immaginare chi potrà essere eletto (mi sento di escludere un altro mandato dell’attuale Capo dello Stato, che pure la Costituzione non vieterebbe). Auspico solo che, nella scelta, possa responsabilmente esservi la più ampia condivisione possibile da parte delle forze politiche; ciò sarà possibile se saranno assicurate la levatura e quindi la credibilità morale e politica di chi verrà chiamato a ricoprire la prima e più alta carica dello Stato, rappresentante – peraltro – dell’unità nazionale.

Intanto, al Presidente Mattarella diciamo, con tutto il cuore, grazie!

*Presidente diocesano dell’Azione cattolica di Messina Lipari S. Lucia del Mela. Docente di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Messina. Fa parte del Gruppo di Lavoro RUS (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile) “Inclusione e Giustizia Sociale”. È autore di diverse pubblicazioni aventi ad oggetto la tutela dei diritti fondamentali, la giustizia costituzionale, i rapporti tra diritto esterno e diritto interno. (Questo contributo è stato pubblicato sul sito dell’Azione Cattolica Italiana)